<<Il Gip di Siena ha respinto l'istanza di sequestro del profilo su Twitter del docente universitario Emanuele Castrucci, ritenendo che il tweet in cui si elogiava il cancelliere tedesco è "solo una rilettura storica e apologetica della figura di Hitler">>.

Il primo provvedimento con cui il legislatore italiano ha stigmatizzato le condotte discriminatorie è costituito dalla c.d. legge Scelba (n. 645/52)1 – successivamente modificata dalla c.d. legge Reale (n. 152/1975) - con cui, invero, si è attribuito un rilievo solo mediato al fattore razziale, riconoscendo quale fulcro della tutela precipuamente la tranquillità sociale, come lascia anche intuire il titolo della novella "disposizioni a tutela dell'ordine pubblico". E’ solo con la L. n. 654/1975, esecutiva della Convenzione di New York delle Nazioni Unite sulla eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale e le modifiche introdotte con le leggi n. 205/1993 (c.d. legge Mancino) e n. 85/2006 (in materia di reati di opinione) che la discriminazione diventa per il diritto interno fatto ex se penalmente rilevante. Infatti è con l’ art. 3, 1° comma, lett. a) della L. 13 ottobre 1975, n. 654 che viene statuito che «salvo che il fatto costituisca più grave reato, anche ai fini dell’attuazione della disposizione dell’art. 4 della Convenzione, è punito con la reclusione fino ad un anno e sei mesi o con la multa fino a 6.000 euro chi propaganda idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico, ovvero istiga a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi». Tuttavia, la norma italiana si riferisce in via esclusiva agli atti di discriminazione compiuti per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi, senza menzionare gli atti discriminatori compiuti per motivi politici, anche se quest’ultimi sono espressamente citati, riconosciuti e garantiti dai più importanti atti internazionali a tutela dei diritti umani.

In ogni caso le leggi italiane che disciplinano il “razzismo” sono da ritenersi incostituzionali per violazione del principio di legalità, per la sua assoluta indeterminatezza in quanto non specifica quando si è in presenza o meno di “idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico” e quindi quali siano le condotte che assumono rilevanza penale. Peraltro, neppure vengono specificati quali siano gli atti di “discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi” e, specificamente, cosa si intenda per “discriminazione”: discriminare significa infatti, nella lingua italiana, semplicemente distinguere che è presupposto fondamentale del pensiero logico. La fattispecie penale è descritta in un modo talmente vago da poter essere applicata a condotte diversissime ed indefinite con l’effetto di poter giungere a conclusioni aberranti. Così, paradossalmente, potrebbe essere interpretato come condotta discriminatoria il “tifo” per la propria nazionale, laddove si esaltassero anche solo le caratteristiche positive della propria nazionale e non necessariamente si disprezzassero quelle negative dell’altrui. Seppur, tale affermazione possa apparire esagerata, non lo è affatto, poiché siffatte paradossali conclusioni, sono legittimate proprio dall’irragionevole testo della norma e, ancor più, da bizzarri orientamenti giurisprudenziali che addirittura teorizzano un’improbabile razzismo implicito o differenzialismo culturale. E’ dunque necessario eliminare questo strumento di repressione creato appositamente per eliminare l’avversario politico e specificamente coloro che difendono gli interessi della Comunità nazionale, perché se non abrogata verrebbe dunque messa al bando la possibilità di manifestare e di sostenere qualsivoglia politica di matrice nazionale e tradizionale trovando così protezione da parte dell’ordinamento solo quelle ideologie di ispirazione internazionalista e mondialista. Fortunatamente vi è anche una giurisprudenza illuminata (Corte di Cassazione Sez. III, sentenza sub n. 13234 d.d. 28.03.2008 2008 e sub 37581 d.d. 07.05.2008) che si oppone a tutto questo respingendo l’inedita teoria del razzismo implicito; e nel tentativo di salvare la norma dalle eccezioni di incostituzionalità si avvede della necessità di definire quantomeno, il concetto e la nozione di “razzismo” ravvisandolo solo qualora si è in presenza di un duplice presupposto: una ideologia che rivendica una superiorità razziale/etnica/religiosa e, nel contempo, un odio, sempre in forza di questa asserita superiorità, talmente viscerale da desiderare la mortificazione o l’annientamento delle razze/etnie/religioni ritenute inferiori. Il razzismo, in mancanza anche solo di uno dei due presupposti, secondo la suddetta condivisibile definizione giuridica non può dunque configurarsi. E’ dunque auspicabile un intervento immediato del legislatore onde recepire anche a livello normativo la suddetta definizione di razzismo e scongiurare quegli orientamenti giurisprudenziali ideologici e patologici che ne renderebbero palese la sua intrinseca incostituzionalità e ne determinerebbero la sua abolizione/annullamento.

Dunque, nel nome della sacrosanta libertà di pensiero e d’espressione i partiti politici che hanno a cuore gli interessi nazionali e del suo popolo devono, necessariamente legiferare e colmare le indicazioni suggerite dalla Corte di Cassazione Sez. III, sentenza sub n. 13234 d.d. 28.03.2008 2008 e sub 37581 d.d. 07.05.2008).

Emilio Giuliana