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Disse Claude Ferrere, a proposito dell’uccisione di Benito Mussolini e dell’animalesco ludibrio di Piazzale Loreto, che «Alcuni italiani si sono vendicati di un Capo troppo grande per loro, le cui stesse benemerenze apparivano troppo gravose. E tutti i governanti d’Europa, anche se non osarono approvare apertamente, gioirono in segreto. Dinanzi a quell’uomo erano afflitti da un complesso di inferiorità insopportabile, come era accaduto tempo prima con Napoleone. Duemila anni prima per le stesse ragioni era stato ucciso Giulio Cesare».

Leggi razziali 1938

È la storiografia di parte israeliana che conferma quanto di seguito riportato. Basterebbe leggere la requisitoria del Procuratore Generale di Tel Aviv al processo contro Adolf Eichman nel 1960, o quel bel libro di Shelah Menachem significativamente intitolato: «Un debito di riconoscenza», e comunque scorrere tutta la letteratura storica israeliana o di altri Autori ebrei di altri Paesi per trovare conferma di tale dato inoppugnabile della verità.

È significativa l’espressione quasi plastica dello storico ebreo Léon Poliakov il quale nei suoi studi parla di quel famoso “schermo” o “scudo protettore” che immediatamente veniva calato a difesa degli ebrei in ogni luogo dove giungevano le Forze Armate italiane il cui primo provvedimento era quello della dichiarazione di inefficacia di ogni decisione tedesca adottata in pregiudizio degli ebrei.

Lo stesso Giorgio Bocca, nel suo libro « Il filo nero », riferisce che in Francia (dove lui era in servizio militare con il grado di Sottotenente) quando le Forze Armate italiane iniziavano a ritirarsi dai territori occupati, avevano al seguito una quantità indicibile di ebrei francesi che volontariamente seguivano i Militari italiani ben sapendo che solo da essi avrebbero continuato ad avere protezione.

La storiografia di parte ebraica in argomento è sterminata e tutta convergente nel confermare quale fu, al di là delle leggi razziali, l’azione dei Comandi fascisti in Italia o nei territori occupati dalle Forze Armate italiane.

Varrebbe la pena rileggere anche quel che scrissero Rosa Paini (« I sentieri della speranza »), Paul Johnson (« Storia degli ebrei »), Léon Poliakov (« Il nazismo e lo sterminio degli ebrei »), Israel Kalk (« Gli ebrei in Italia durante il Fascismo »), Salim Diamond (« Internment in Italy »), Gorge L. Mosse (« Il razzismo in Europa »); o rileggere quel che scrisse Padre Graham su “Civiltà Cattolica” del marzo 1987 in merito al Fascismo, Mussolini e gli ebrei. E così molti altri ancora.

La falsità della storiografia specialmente italiana, al contrario, parla, tra l’altro, della Risiera di San Saba a Trieste come di un campo di sterminio degli ebrei presenti in Italia, mentre lo stesso Primo Levi che purtroppo ebbe a transitare dalla Risiera di San Saba, lo indica e definisce tale e quale era, e cioè un campo di transito; storiografia che addirittura si spinge a indicare come tale anche il Campo di raccolta degli ebrei vicino Sibari nel sud della Calabria dove le Autorità fasciste trasferivano gli ebrei dei Balcani per sottrarli ai tedeschi. E tale “storiografia” non si arresta neanche dinanzi all’evidenza tutt’oggi riscontrabile con i propri occhi quando nel detto Campo per gli ebrei di Sibari si vede ancora la piccola Sinagoga, la Scuola e il giardino per i bambini, l’infermeria, gli alloggiamenti per le famiglie, etc., etc.

Indubbiamente episodi isolati di collaborazionismo fascista con i tedeschi ve ne furono, ma questo non intacca minimamente la posizione politica del Governo fascista in materia; e neppure del Governo fascista della Repubblica Sociale Italiana.

Al contrario, sono numerosissimi gli episodi di segno opposto che sarebbe qui impossibile elencare se pur parzialmente e che spesso videro le Autorità fasciste, a cominciare dagli appartenenti alla Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale, e anche le Autorità fasciste repubblicane, giungere quasi al limite dello scontro armato con militari tedeschi, a difesa degli ebrei.

Né si può dire, per quanto prima esposto, che si trattava di iniziative di singoli Comandi militari o civili fascisti poiché la cosa sarebbe impensabile e improponibile fuori da ogni autorizzazione o indicazione che fosse venuta dal Governo centrale. Ad un Rabbino che ricordava il lodevole comportamento dei Comandi civili e militari fascisti nei confronti degli ebrei ad una ben nota personalità politica italiana, da questa fu risposto che si trattava di iniziative individuali, ma il Rabbino replicò giustamente che senza il consenso del Governo e il favore della popolazione, quelle azioni lodevoli non avrebbero potuto essere realizzate.

In realtà non vi fu solo consenso, ma vi fu sempre, specialmente durante i lunghi anni della guerra dal 1940 al 1945, una ben precisa direttiva politica testimoniata emblematicamente da un episodio: Benito Mussolini pur di mandar via il Ministro tedesco Von Ribbentrop venuto a Roma per protestare per l’atteggiamento fascista di protezione degli ebrei, dette assicurazioni ingannevoli a Von Ribbentrop e contestualmente ordinò al Gen. Robotti di inventarsi qualsiasi ragione o scusa ma di non consegnare ai tedeschi neanche un ebreo.

Già ora si potrebbe dire, e concludere, che l’antisemitismo fascista seguì l’antifascismo dell’ebraismo internazionale; un antifascismo, si ripete, assolutamente ingiustificato, ingiustificabile e incomprensibile se si considerano tutte le precedenti misure legislative fasciste in favore delle Comunità ebraiche presenti in Italia, oltreché gli eccellenti rapporti con il Governo fascista italiano del complessivo Rabbinato presente in Italia e, come si è ricordato in apertura, la molto consistente e convinta adesione al Fascismo di un numero impressionante di ebrei e, tra questi, personalità di sicura e indiscussa eccellenza.

Pertanto, bisognerebbe forse chiedersi prima (e dare finalmente una risposta) il perché dell’antifascismo ebraico, prima ancora del perchè dell’antiebraismo fascista. Anche a quest’altra differente domanda ancora ad oggi non si è data, non si è voluta dare e non si vuole dare una risposta convincente. Anzi, tale aspetto volutamente viene tenuto nascosto.

Con stupore emerge, la partecipazione massiva di ebrei alla guerra di Spagna dalla parte dei “rossi” repubblicani, comunisti, socialisti, trotzkisti, anarchici, rivoluzionari di ogni genere e specie, ecc., inquadrati nelle famose "Brigate internazionali” (nel libro di Alberto B. Mariantoni, La memoria della realtà, sono indicati con precisione e puntigliosità centinaia di loro nomi e cognomi, le loro funzioni, i reparti di inquadramento, i loro compiti -se di combattimento o meno- e addirittura anche i loro pseudonimi, sottolineando il fiancheggiamento costante delle dette Brigate internazionali ad opera dei più importanti e diffusi mezzi di comunicazione che, se non tutti ma in larga misura in mano di ebrei, si scagliavano contro il Fascismo italiano e — guarda caso! — non tanto e non direttamente contro le Forze nazionaliste del Gen. Francisco Franco Bahamonde). Di tali forze ebraiche inquadrate nelle Brigate internazionali, le stime operate da diverse fonti: danno una presenza da un minimo di 10.000 a un massimo di 35.000. I luoghi di provenienza di detti ebrei: a parte la Palestina allora sotto mandato britannico e gli ebrei già presenti in Spagna e quelli già fuoriusciti dalla Germania nazionalsocialista, si nota curiosamente come la maggior parte di essi provenissero dagli Stati Uniti, dal Regno Unito di Gran Bretagna, dalla Francia, dal Belgio, dall’unione Sovietica e da altri Stati europei ed extraeuropei (come ad esempio l’Australia).

Non sfugge all’attenzione che nella loro stragrande maggioranza questi ebrei componenti le “Brigate internazionali” provenivano da Paesi capitalisti (a cominciare dagli Stati Uniti d’America), e dall’Unione Sovietica che già ben prima del 1937 aveva iniziato la sua azione di penetrazione in altri Stati, per la internazionalizzazione cioè dell’ideologia marxista-leninista.

Tali circostanziati dati di fatto (non certamente opinioni) introducono la possibilità di dare una risposta alla domanda precedentemente posta e cioè del perchè di questo coordinamento ebraico a livello mondiale contro il Fascismo italiano che a quella data, come viene pressoché unanimamente riconosciuto, manteneva eccellenti rapporti non solo con le Comunità israelitiche presenti in Italia, ma anche con gli organismi ebraici di coordinamento a livello internazionale.

Per proporre una risposta convincente a tale quesito che è da tempo, da troppo tempo eluso, occorre porre l’attenzione su uno specifico dato di fatto prima già evidenziato: la provenienza in grandissimo numero di elementi ebraici dagli Stati capitalisti, con gli Stati Uniti in testa, e dall’unione Sovietica che non lesinarono aiuti di ogni genere alle “Brigate internazionali”: dall’impressionante armamento — anche pesante — di cui esse disponevano, all’assistenza sanitaria, alla logistica, ai rifornimenti, alle comunicazioni, alla stampa e ai generi di sussistenza.

Tutti questi dati erano certamente ben conosciuti anche prima, a parte l’aspetto della consistenza quantitativa e qualitativa della presenza ebraica nelle “Brigate internazionali”.

Messi in collegamento logico tutti tali dati, e in modo coerente e ragionevole tra di loro, per giungere alla conclusione della preordinata e concertata azione dell’ebraismo mondiale contro l’Italia fascista. Aggiungerei contro l’Italia proletaria e fascista. E ciò per una ragione ben precisa che costituisce risposta a quella domanda che pesa muta e silenziosa: l’attacco al Fascismo italiano non poteva venire che congiuntamente dagli ambienti capitalistici e da ambienti comunisti, gli uni e gli altri direttamente confliggenti con l’ideologia e l’azione politica in campo sociale ed economico del Fascismo; oltre che per una loro intrinseca e necessitata e per quanto innaturale alleanza: il capitalismo ha bisogno del comunismo e il comunismo ha bisogno del capitalismo perchè l’uno giustifica l’altro e l’uno, dunque, esiste in quanto esiste l’altro.

Ecco, allora, in campo in Spagna in quella pur sanguinosa guerra civile, accumunati gli uni agli altri, ebrei costituenti espressione del capitalismo e della finanza internazionale ed ebrei espressione del comunismo sovietico e del comunismo internazionale (già organizzatosi nel famigerato “Komintern”).

Le riflessioni che precedono devono condurre ad evidenziare un’altra verità che da sempre, dalla fine della seconda guerra mondiale, è politicamente scorretta se non addirittura un crimine pronunciarla: agli anglo-americani e ai comunisti sovietici degli ebrei interessava ben poco; interessava la difesa delle rispettive ideologie e dei relativi sottintesi interessi economici.

Non interessava ai comunisti sovietici che, non esitarono a sterminare gli ebrei in larga misura (leggi Francois Fejto, Gli ebrei e l’antisemitismo nei paesi comunisti), fino alla morte del dittatore Stalin nel 1953 (dopo la sua morte furono trovati i piani operativi per procedere nei confronti degli ebrei così come era stato fatto nei confronti dei kulaki, e cioè lo sterminio totale); non interessava evidentemente agli anglo-americani che non pensarono e non fecero quel che chiunque avrebbe pensato e fatto e cioè bombardare le linee di comunicazione stradali e ferroviarie tedesche che conducevano ai campi di concentramento in Germania e in Polonia per impedire le deportazioni soprattutto degli ebrei.

Basterebbe ricordare solo due agghiaccianti episodi: la nave di profughi ebrei fuggiti da Amburgo alla quale fu impedito di raggiungere le coste statunitensi sotto minaccia della Marina Militare U.S.A. di aprire il fuoco affondandola; e l’altra nave, anch’essa carica di profughi ebrei, alla quale nel 1947 e dunque pur dopo la fine delle ostilità, gli inglesi impedirono di raggiungere le coste della Palestina.

E tutto questo mentre in Italia, per ordine di Mussolini, e già prima dell’inizio della guerra, venivano spalancate le frontiere alle famiglie ebraiche in fuga dalla Germania, dall’Austria e dai Paesi sotto occupazione tedesca.

Gli inglesi, per parte loro, non usarono solo le parole, ma la violenza contro gli israeliti. Rosa Paini (storica ebrea, Il cammino della speranza) riferisce che nel '41 un folto nucleo di famiglie fuggito da Bratislava, imbarcato sul piroscafo Pendeho, composto da 510 profughi cechi e slovacchi, dopo aver navigato sul Danubio giunse nel Mar Nero. Qui, e precisamente a Sulina, salì a bordo il console britannico e informò i malcapitati che il suo governo li considerava immigranti illegali: di conseguenza, se si fossero avvicinati alle coste della Palestina, sarebbero stati silurati. Dovettero quindi ripartire e, superati diversi incidenti, giunsero all’isola disabitata di Camillanissi dove non c’era nemmeno acqua. Sbarcati, assistettero impotenti all’affondamento del battello. Dopo cinque giorni di sofferenze sopraggiunse una nave della Croce Rossa Italiana che imbarcò i profughi per trasferirli a Rodi, dove rimasero alcuni mesi e quindi imbarcati e trasferiti in Italia.

Fra i tanti vale la pena di ricordare un altro dramma: nel febbraio del 1942 lo Struma, una nave di profughi proveniente dalla Romania, si vide rifiutare dagli inglesi il permesso di sbarcare e, respinta anche dai turchi, affondò nel Mar Nero: 770 persone annegarono (Paul Johnson, Storia degli ebrei, p. 582).

Lo storico israelita Léon Poliakov (Il nazismo e lo sterminio degli ebrei, p. 63) accusa apertamente il governo britannico ricordando che qualche convoglio clandestino, formato con l’aiuto di Eichmann, tentò di discendere il Danubio su barche, mirando alla Palestina, ma le autorità inglesi rifiutarono il passaggio di questi viaggiatori perchè sprovvisti di visto: Così si assiste al paradosso che la Gestapo spinge gli ebrei verso il luogo della salvezza, mentre il governo democratico di Sua Maestà britannica ne preclude l’accesso alle future vittime dei campi di prigionia.

Quanto agli Stati Uniti d’America, l’esperto di sondaggi Elmo Roper osservò: Gli Stati Uniti avrebbero certamente potuto accogliere un gran numero di profughi ebrei. Invece, durante il periodo bellico, ne furono ammessi soltanto 21 mila, il 10% del numero concesso secondo la legge delle quote. La ragione di questo fatto era l’ostilità dell’opinione pubblica. Tutti i gruppi patriottici, dall’American Legion ai Veterans of Foreign Wars, invocavano un divieto totale all’immigrazione. Ci fu più antisemitismo durante il periodo della guerra che in qualsiasi altro della storia americana [...]. Negli anni 1942-44, ad esempio, tutte le sinagoghe di Washington Heights, New York, furono profanate.

Il Neue Zurcher Zeitung il 18 gennaio 2000 ha pubblicato una lettera a firma di Susi Weill che, fra l’altro, ha scritto: I miei genitori avevano tentato invano di emigrare in America, ed oggi è un fatto stabilito che le rappresentanze diplomatiche americane in Europa avevano ricevuto l’ordine di respingere tali domande.

Quando fu necessario anche il governo americano usò la forza, come conferma Franco Monaco: Allorché a un piroscafo carico di ebrei, partito da Amburgo, fu vietato l’attracco a New York, quei fuggiaschi vennero accolti in Italia e poi dislocati in varie zone della Francia, della Dalmazia e della Grecia. Ha scritto Daniele Vicini su L’Indipendente del 20 luglio 1993: Ebrei e comunisti sciamano verso il Brennero, frontiera che possono varcare senza visto a differenza di altre (americana, sovietica, ecc.) apparentemente più congeniali alle loro esigenze. Dello stesso parere è Klaus Voigt che in Rifugio precario osserva quanto fosse strana la dittatura fascista. Infatti scrisse: Fino all’entrata in guerra dell’Italia non risulta neppure un caso di condanna 0 allontanamento di un emigrante per attività politica [...]. Eppure dal 1936, la Germania è il principale alleato e quegli emigranti sono suoi nemici. Polizia e Carabinieri ricevevano disposizioni dal Duce, chiare ed essenziali, anzi ridotte ad una sola parola: Sorvegliare. Non arrestare.

Mentre, in generale, i governi filofascisti dell’Europa asservita non opponevano che fiacca resistenza all’attuazione di una rete sistematica di deportazioni, i capi del fascismo italiani manifestarono in questo campo un atteggiamento ben diverso. Ovunque penetrassero le truppe italiane, uno schermo protettore si levava di fronte agli ebrei Un aperto conflitto si determinò tra Roma e Berlino a proposito del problema ebraico [...]. È significativo il fatto che i tedeschi non sollevarono mai il problema degli ebrei in Italia. Certamente temevano di urtare la suscettibilità italiana [...]. Appena giunte sui luoghi di loro giurisdizione, le autorità italiane annullavano le disposizioni decretate contro gli ebrei [... ] (Léon Poliakov, Il nazismo e lo sterminio degli ebrei, pp. 219-220).

Poliakov scrive ancora: Mentre i Prefetti (francesi) ordinavano arresti e internamenti, allestivano convogli per la Gestapo, le autorità militari italiane, a dispetto delle minacce, ordinavano l’annullamento di tali ordini. Tra le autorità d’occupazione tedesche e il governo di Berlino, tra il Governo di Berlino e il Governo di Roma, tra le autorità di Vichy e i generali italiani vi era un continuo scambio di note nervose e impazienti. La Germania chiedeva all’Italia di agire nello spirito delle disposizioni tedesche. L’Italia rifiutava e resisteva.

Non solo, ma il governo italiano ottenne che gli ebrei italiani residenti nelle zone occupate dall’esercito tedesco fossero esentati dall’obbligo di mostrare la stella gialla. Lo stesso accadeva nella Legazione di Bruxelles. Addirittura, secondo quanto scrive Martelli, che include un documento nel quale descrive come il Consolato italiano di Bruxelles esigeva che venissero esentati dall’imporre la stella gialla e dai lavori forzati, anche gli ebrei greci perchè le truppe italiane occupavano parte del territorio greco. Questo, evidentemente era troppo, infatti un ordine del Conte Bianco Lanza d’Ajeta, del Ministero degli Affari Esteri di Roma, con un telegramma datato agosto 1942, imponeva di sospendere tutte le iniziative prese in merito ai cittadini ebrei greci. (http://motlc.wiesenthal.com).

Lo stesso docente dell’università ebraica di Gerusalemme, George L. Mosse, nel suo libro II razzismo in Europa, a p. 245 ha scritto: Il principale alleato della Germania, l’Italia fascista, sabotò la politica ebraica nazista nei territori sotto il suo controllo. Le leggi razziali introdotte da Mussolini nel 1938 impedivano agli ebrei di svolgere molte attività e si tentò anche di raccogliere gli ebrei in squadre di lavoro forzato; ma mentre in Germania Hitler restringeva sempre più il numero di coloro che potevano sottrarsi alla legge, in Italia avveniva il contrario: le eccezioni furono legioni. Come abbiamo già detto, era stato Mussolini stesso a enunciare il principio «discriminare non perseguire». Tuttavia, l’esercito italiano si spinse anche più in là, indubbiamente con il tacito consenso di Mussolini [...]. Ovunque, nell’Europa occupata dai nazisti, le ambasciate italiane protessero gli ebrei in grado di chiedere e ottenere la nazionalità italiana. Le deportazioni degli ebrei cominciarono solo dopo la caduta di Mussolini, quando i tedeschi occuparono Italia.

Come ancora giustamente ha osservato il compianto Filippo Giannini essi fuggivano in Italia non nei Paesi “democratici” perché, come detto, era vietato l’ingresso agli ebrei in tali Paesi. Fuggivano in Italia, ripetiamo, dove pur c’erano le «infami leggi razziali». Ma perché in Italia? Certo non per andare incontro alla morte ma per la semplice ragione che il Regime fascista, come disse Renzo De Felice (giova ancora ricordarlo), non perseguitò gli ebrei.

Ancora un'altra domanda richiede finalmente una risposta chiara e convincente: come si comportarono gli altri Stati nei confronti degli ebrei o, in generale, nei confronti della questione ebraica?

Molto semplicemente, internarono in appositi campi di concentramento ebrei, zingari e anche oppositori del Regime nazional-socialista e, quel che è più grave, cittadini degli Stati dell’Asse (italiani, tedeschi, austriaci e giapponesi, o semplicemente di origine italiana, tedesca, austriaca o giapponese; si trattò di migliaia e migliaia di persone sottoposte indistintamente ad ogni genere di vessazioni e di patimenti a prescindere da ogni loro responsabilità e a prescindere anche dalla circostanza che molti di essi già da tempo (e da prima già i loro ascendenti) avevano acquisito la cittadinanza di tali Stati nei quali erano perfettamente integrati, per essere,  “democraticamente internati”.

Si tratta dei provvedimenti legislativi e di polizia adottati dal Governo francese, dal Governo britannico e da quello degli Stati Uniti d’America.

Parlare, dunque, delle “leggi razziali” fasciste fuori dal contesto storico e fuori dalla considerazione delle loro finalità politiche e non intrinsecamente razziali, e senza per di più tentare una qualsivoglia comparazione con quello che fecero i Governi degli Stati capitalisti e il Governo comunista della Russia sovietica, oltre ad essere sommamente ingiusto è ancor più storicamente fuorviarne e politicamente inaccettabile.

Come si può pensare di giustificare le ignominie commesse da questi Stati in nome di asserite necessità politiche e non considerare, viceversa, le ancor più gravi necessità politiche dell’Italia fascista che, si ripete, nonostante le leggi razziali, difese gli ebrei dallo sterminio attraverso quello che il ricordato Poliakov chiamò efficacemente lo “scudo protettore”?

Prende così maggiore significato e contenuto quel principio informatore delle leggi razziali fasciste — comunque inaccettabile — del «discriminare (distinguere) non perseguitare».

Quel che interessava era colpire l’Italia fascista e tutto ciò che il Fascismo comportava in termini di politica sociale ed economica: il superamento della lotta di classe, la partecipazione degli operai alla gestione e agli utili di impresa, la promozione in generale della classe operaia (per questo prima ho parlato di «Italia proletaria e fascista»), la funzione sociale dell’impresa e la funzione sociale della proprietà privata. Come dire un pugno nello stomaco, in un momento solo, al capitalismo e al comunismo.

Stati Uniti di America, vigeva la discriminazione razziale e apartheid oltre il 1960 (Malcon X, Martin Luther King, Rosa Louise Parks)

Inghilterra, apartheid in India e in Sud Africa fin oltre il 1945 (Mohandas Karamchand Gandhi, Nelson Mandela)

Francia, apartheid in tutte le ex colonie post 1945, sfruttamento attuale economico ex colonie vedi franco cfr

Unione Sovietica, discriminazione razziale e religiosa post secondo conflitto mondiale.

Israele, il 18 luglio 2018 la Knesset approva la legge che definisce Israele "Stato del popolo ebraico".