La consigliere provinciale di Futura di Trento, nella sua sperticata esternazione contro la legge che limita l’aborto in Polonia, sa di cosa parla? Certamente non è a conoscenza del fatto che il bambino fin dal suo concepimento è un essere umano in tutta la sua essenza, al quale servono mesi per sviluppare la sua forma, anni per crescere ed invecchiare, così come dimostra la tanto amata dai laici scienza. Non tiene in considerazione che il bambino nel grembo materno  non è di proprietà della mamma e del papà che lo hanno concepito, ma un individuo unico, con gli stessi diritti di mamma e papà, ai quali spetta di amarlo o ripudiarlo, ma non di ucciderlo, nel nome di un “diritto” garantito a mamma e papà, ma negato al figlio, sol perché in un rapporto di forza perdente, dunque, di diritti in tal senso non ce ne sono, ma solo prevaricazione e violenza.

Il solito stanco, appesantito monologo recitato come un mantra, “politiche retrive, oppressive, (ricordo che per i bambini sono soppressive), patriarcali (miss Coppola avrà avuto un padre, un marito padre dei suoi figli?), sessiste (come la mettiamo con l’anti abortista Amy Coney Barrett la neo eletta giudice della Corte Suprema statunitense?)”. Sempre in merito al sessismo e relativo femminismo, sotto riporto un articolo pubblicato  sul sito -https://www.provitaefamiglia.it/blog/donne-per-le-donne-contro-laborto-vere-femministe- , che sicuramente deve essere sfuggito alla consigliere provinciale di Futura Lucia Coppola.

“Le pioniere del femminismo in America, le prime donne  a battersi per l’emancipazione femminile, non consideravano affatto l’aborto come un diritto né come una conquista necessaria all’emancipazione.

Il 5 febbraio 1868, su  The Revolution , la  Elisabeth Candy Stanton si riferiva all ‘“assassinio di bambini, prima o dopo la nascita” come un “male, sempre”.

Elizabeth Blackwell, la prima delle donne medico degli Stati Uniti, si è sempre schierata  contro l’aborto: una  “grossolana perversione”.  Tanto da auspicare che mai si chiamassero con l’onorevole termine di “medico” quelle donne che facevano abortire altre donne: il  “totale degrado” di ciò che potrebbe e dovrebbe diventare una professione nobile per le donne.

Un’altra femminista ante litteram, Susan B. Anthony, già scriveva lucidamente che l’aborto era un sistema per deresponsabilizzare gli uomini e la società rispetto a un problema – la gravidanza indesiderata – che veniva quindi a gravare tutto sulle spalle delle donne: e poi sono le donne che in definitiva commettono il gesto: «Sarà un peso sulla loro coscienza per tutta la vita: quando invece è  tre volte più colpevole lui, che l’ha spinta alla disperazione, che l’ha spinta al crimine!»

L’aborto libero è nell’interesse degli uomini, non delle donne

E infatti, l’aborto è diventato il centro delle rivendicazioni femministe solo molto più tardi, quando degli uomini – sostenitori della rivoluzione sessuale – hanno cominciato a fare propaganda  alla  contraccezione e all’aborto: per “liberare” le donne, o per liberare dalla responsabilità gli uomini che aspiravano a una vita sessuale promiscua e spensierata?

La giornalista Sue Ellen Browder, in un saggio intitolato Subverted sottolinea come  Lawrence Lader e Bernard Nathanson abbiano fondato il NARAL, ma senza il coinvolgimento del movimento femminista non avrebbero potuto ottenere niente. Dopo anni di tentativi, Lader ha convinto Betty Friedan a includere l’aborto nella sua piattaforma politica, nonostante il fatto che Friedan fosse inizialmente contraria all’aborto. E come  convinse  la Friedan che le donne avevano bisogno dell’aborto per essere veramente libere? Lo fece esagerando grossolanamente il numero di donne che abortivano clandestinamente e il numero di quelle che  morivano per aborto clandestino.

A poco a poco, le donne si convinsero che erano i  figli a impedir loro di  raggiungere l’uguaglianza. Alle donne viene insegnato che la maternità non consente il raggiungimento di altri obiettivi, sogni o realizzazioni: se le donne volevano essere uguali agli uomini, dovevano negare la fondamentale e bella differenza biologica tra i due sessi. Dovevano rifiutare la vita ai loro figli.

Oggi, oltre il 70% delle donne che abortiscono dichiara di averlo fatto perché  sotto pressione. La pressione arriva da fidanzati o mariti che minacciano di lasciarle,  la pressione arriva da genitori che minacciano di cacciarle di casa, pressioni arrivano dalla società che le convincono che un figlio è un male: pressioni che riducono le donne alla solitudine interiore e alla disperazione.

L’aborto non significa uguaglianza. Non è sinonimo di libertà. L’aborto è oppressione. Donne come la Stanton, la Blackwell e la  Anthony l’avevano capito già alla fine dell’ 800”.

Cara signora Lucia Coppola, se vuol  essere davvero “rivoluzionaria”, sempre a fianco e difesa dei più deboli e dei loro diritti negati, si batta per i cuccioli di uomo, e lasci che il ventre di una donna rimanga un rifugio sacro, e non si trasformi in un altare sul quale consumare sacrifici umani.

Emilio Giuliana