Il presente articolo si basa su un recente studio, portato avanti dal prof. Arduino Maiuri, Uni di Roma Filologia greca e romana e dall’Ing. Felice Vinci, in cui i due ricercatori propongono una nuova interessantissima ipotesi sul motivo dell’improvvisa relegazione di Ovidio a Tomi sulle coste del Mar Nero.

Publio Ovidio Nasone, conosciuto come Ovidio, fu il poeta prediletto degli ambienti mondani della Roma augustea ma improvvisamente nell’8 d.C. venne colpito da un improvviso ordine di relegazione a Tomi, sulle coste del Mar Nero.

A 2000 anni dalla morte di Ovidio, il reale motivo del suo esilio è ancora sconosciuto.

Analizziamo gli antefatti

Al momento della sua condanna da parte di Augusto, il poeta era impegnato nella stesura dei Fasti un’opera che avrebbe dovuto comprendere 12 libri, uno per ogni mese dell’anno. Il poeta, ormai giunto a metà dell’opera interruppe il suo poema a metà, come lui stesso affermerà nei Tristia:

spezzò la mia sventura quest’opera, o Cesare, scritta da poco in nome tuo e a te consacrata.

Sempre nei Tristia afferma:

gli ultimi atti sono la mia rovina

e

due crimini mi hanno perduto, un carme e un errore, di questo devo tacere quale fu la colpa.
(Tristia II, 99)

ammettendo di aver commesso un crimine passibile della sentenza di morte (II 127 – 128), poi commutata da Augusto nell’esilio, presumibilmente con la promessa che il poeta non rivelasse mai il vero motivo della condanna (culpa silenda mihi).

La nuova ipotesi

La nuova ipotesi formulata dai due studiosi, si fonda su un passo del libro V dei Fasti, composto poco prima della condanna.

Ovidio, infatti, nell’occasione si sofferma su un inedito rapporto tra gli antefatti della fondazione di Roma e la costellazione delle Pleiadi, citando “la stella” che Cicerone negli Aratea definì Sanctissima Maia.

Indagando su questa connessione, a dir poco anomala, in quanto non ve n’è traccia nel resto della letteratura antica, gli autori  sviluppano una interessante ipotesi:  che i sette colli di Roma fossero l’immagine, riflessa sulla Terra, delle sette Pleiadi; ed in questo senso che la stella Maia – la cui controparte, sul piano strettamente speculare, sarebbe rappresentata dal colle Palatino, su cui Romolo fondò Roma – fosse la misteriosa divinità tutelare di Roma, il cui nome andava rigorosamente tenuto segreto.

L’argomento della nascita dell’Urbe è stato trattato da moltissimi scrittori, non solo Romani, ma nessuno ha mai menzionato Maia o le Pleiadi in rapporto con la fondazione di Roma. Sicuramente però Ovidio non si sarebbe mai permesso di inventare qualcosa di estraneo alla tradizione su un tema così importante, comincia così ad affacciarsi il dubbio che il poeta abbia toccato un argomento ritenuto tabù a cui non era lecito fare nemmeno un piccolo accenno.

Inevitabilmente i due studiosi collegano l’accaduto alla vicenda di Valerio Sorano, il quale secondo Plinio, fu condannato a morte per aver rivelato il nome segreto dell’Urbe ed è Plinio stesso che spiega i motivi per una tale severa condanna:

i Sacerdoti romani, prima dell’assedio di una città, ne invocavano la divinità protettrice, promettendole che in Roma avrebbe goduto di culto uguale se non maggiore, se avesse assistito i Romani nella conquista.

Dunque per evitare che i nemici facessero le stesse promesse, il nome della divinità protettrice della città doveva rimanere segreto.

 

 

Le Pleiadi

Le Pleiadi, conosciute anche come le Sette sorelle, la Chioccetta o con la sigla M45 del catalogo di Charles Messier, sono un ammasso aperto visibile nella costellazione del Toro. Questo ammasso, piuttosto vicino, conta diverse stelle visibili ad occhio nudo; anche se negli ambienti cittadini sono visibili solo cinque o sei delle stelle più brillanti, da un luogo più buio se ne possono contare fino a dodici.

Il Disco di Nebra che rappresenta anche 7 stelle delle Pleiadi

La grande visibilità delle Pleiadi nel cielo notturno ha fatto in modo che esse fossero considerate un importante riferimento in molte culture, sia antiche che presenti.

Per la mitologia Romana erano 7 sorelle, nella mitologia Greca erano chiamate anche “Colombe”, mentre per i Vichinghi erano le galline di Freyja; in molte lingue europee antiche sono infatti indicate come “galline” o “galli”. Secondo l’astrologia indiana le Pleiadi erano conosciute come l’asterismo (Nakshatra) Kṛttikā (“i coltelli” in sanscrito). Le Pleiadi erano chiamate “le stelle del fuoco” e la loro divinità è il dio vedico Agni, il dio del fuoco sacro.

Così sopra così sotto

La città di Roma sorge su un gruppo di alture e picchi, ma tutti sappiamo che da sempre, solo 7 sono stati considerati i colli di Roma.

Le sette Pleiadi e I sette colli di Roma. Risulta evidente che le Pleiadi sono rispecchiate sulla Terra dal primo progetto di Roma

Il layout della città posto all’interno delle Mura Serviane corrisponde, in modo inequivocabile, all’ammasso stellare, quasi a far sospettare che gli antichi Sacerdoti, o meglio il Pontefice Maximus, si fosse ispirato al punto di guidare lo sviluppo della città, nei primi secoli, come la proiezione sulla Terra del modello celeste, al centro del quale si trova la Sanctissima Maia. A quest’ultima in particolare corrisponderebbe la centralità del Palatino su cui Romolo, secondo la tradizione, aveva tracciato il solco della Città Quadrata.

Ora è plausibile che partendo dall’inedito collegamento proposto da Ovidio tra le 7 Pleiadi e la fondazione di Roma, una persona colta dell’epoca, potesse arguire che la città Quadrata fosse consacrata alla Dea Stella che le corrispondeva nel cielo la Sanctissima Maia, considerata dal Poeta la più bella delle Pleiadi (Fasti, 85-86).

Quindi sembrerebbe evidente che ciò che avrebbe causato l’esilio di Ovidio sarebbe stato l’innominabile collegamento tra le Pleiadi, Maia e la fondazione di Roma.

I due studiosi a questo punto si chiedono se dietro il numero di uccelli che la tradizione vuole avvistati da Remo sull’Aventino e da Romolo sul Palatino, rispettivamente 6 e 12, non si nasconda una sottile allusione al numero delle Pleiadi effettivamente visibile, che come già detto, può variare tra questi due estremi a seconda della situazione meteorologica e della vista dell’osservatore.

A ciò si aggiunga che, sempre secondo i Fasti, proprio il 1 maggio – mese che, secondo quello stesso passo, prenderebbe il nome proprio da Maia – ricorreva la festa della Bona Deamisteriosa divinità protettrice il cui nome non poteva essere rivelato, e ci informa Macrobio (scrittore della tarda latinità) che dietro la misteriosa Bona Dea si nascondeva proprio Maia:

secondo Cornelio Labeone alle calende di maggio fu dedicato un Tempio a Maia, cioè alla terra, sotto il nome di Boa Dea
(Saturnalia I, 12-21)

E sempre Macrobio scrive:

che il flamine di Vulcano alle calende di maggio officia un rito per questa Dea

Non è dunque un caso che Ovidio menzioni la Bona Dea proprio il 1 Maggio pochi versi dopo il discorso che attribuisce a Callisto.

Le Pleiadi e la data della fondazione di Roma

Premesso ciò, è ragionevole chiedersi se anche la data della fondazione dell’Urbe, il 21 aprile, non possa essere inquadrata nell’ipotizzato rapporto con le Pleiadi.

In proposito, una straordinaria conferma proverrebbe da uno studio recente (L. Verderame, Pleiades in ancient Mesopotamia, in Mediterranean Archaeology and Archaeometry 16 (2016), p. 109.) e della Società Italiana di Archeoastronomia, da cui si evince che in Mesopotamia:

Le Pleiadi svolgono un ruolo importante nel calcolo del calendario, un ruolo che è indicato negli almanacchi come il MUL.APIN

E non basta, dal momento che

il sorgere delle Pleiadi è fissato nel secondo mese del calendario Babilonese, cioè Ayāru (Aprile/Maggio). Da notare che il nome Sumero di questo mese è gu4.si.sá (“guidare il bue(buoi)”; gu4 ‘bue, toro’ “guida dei buoi” che si ricollega alla costellazione del Toro.

Si aggiunga che spesso questi astri, oltre a far parte della costellazione del Toro, nel contesto mesopotamico per sineddoche vengono addirittura identificati con essa.

In sostanza, dunque, il sorgere delle Pleiadi corrisponderebbe proprio con il primo giorno del secondo mese dell’anno mesopotamico, Ayāru, ossia aprile/maggio, che ricava il suo nome dalla costellazione del Toro in lingua sumerica: eppure ancora oggi quello che viene considerato il primo giorno del secondo mese dell’anno astrologico, corrispondente al segno del Toro, è il 21 aprile.

Inoltre va anche considerato l’aspetto agricolo del mese di Ayāru, allorché, sotto il segno delle Pleiadi, riprendevano i lavori dei campi. Tutto ciò rievoca senza dubbio l’immagine di Romolo, che con i suoi buoi spinge l’aratro mentre traccia il solco quadrato. D’altronde non è casuale che « il patrono del secondo mese del calendario Sumero sia  Ninĝir-su/Ninurta, Dio anche dell’agricoltura». Guerra e agricoltura: come si potrebbe sintetizzare meglio lo spirito della Roma arcaica?

Pertanto anche la data della fondazione di Roma, in aggiunta ai suoi sette colli, rappresenterebbe, di fatto, una nuova, stringente connessione con le Pleiadi.

Sembra davvero palese che la coincidenza tra la data della fondazione di Roma e l’inizio del segno del Toro, di cui le Pleiadi sono le stelle più rappresentative, non sia affatto casuale, anzi, riletta in questa ottica, sembra dotata di un formidabile significato sacrale, oltre che di un marcato valore astronomico e simbolico:

non solo i sette colli dell’Urbe rispecchierebbero sulla Terra l’aspetto delle Pleiadi, ma anche la data della sua fondazione ricalcherebbe con estrema precisione il ciclo annuo delle costellazioni sulla sfera celeste.

Simili dati sembrano rafforzarsi reciprocamente, rendendo particolarmente esigua, se non addirittura trascurabile, la probabilità che questa fitta rete di corrispondenze e rimandi dipenda da una mera casualità!!

Si ringrazia per l’ispirazione Siusy Blady che, con l’intervista a Felice Vinci sul suo canale Yotube, ha stimolato in noi la curiosità per andare oltre.

Fonte:
Felice Vinci e Arduino Maiuri, Le Pleiadi e la Fondazione di Roma