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Gli incolti, i dozzinali, approssimativi, quelli degli asini che volano, contrari al “Green Pass” (frutto del totalitarismo finanziario), sposano l’errato convincimento che durante il governo monarchico fascista, i cittadini italiani potevano avere diritti solo se tesserati al PNF (partito nazional fascista), ad esempio la tranquilla garanzia di un posto di lavoro (testimonianza diretta familiare, mio nonno Emilio, capo treno, non fu mai  tesserato al pnf, ciò nonostante aveva sempre lavorato senza che nessuno lo abbia escluso o epurato); peccato che su 20 milioni di lavoratori, solo 4 milioni tra essi erano tesserati al PNF. Peraltro, dal 6 gennaio 1927 al 30 ottobre 1932 (quasi 5 anni), il tesseramento al partito fu interrotto per espresso volere di Mussolini. Dunque, il democratico (capitalista)  green pass, “grazie” al quale, se sprovvisti, si è deposti dal proprio incarico di lavoro senza retribuzione, se proprio devono accomunarlo ad altre tessere del passato: “lascia passare”, devono associarlo alle umilianti tessere di razionamento per l’acquisto di prodotti alimentari e merci di uso quotidiano, strumento utilizzato in Unione Sovietica. Le tessere di razionamento apparvero per la prima volta nel 1917, cessarono nel 1921, per essere reintrodotte nel 1929, abolite il primo gennaio 1935, per essere nuovamente adottate nel 1939 ed abrogate nel 1947. Negli anni ‘70 la tessera fu nuovamente ripristinata in alcune regioni dell’URSS, per poi essere estesa a tutta l’Unione Sovietica nel 1980. In URSS, non serviva la tessera del partito, perché tutti i cittadini della confederazione sovietica erano comunisti, e chi comunista lo era un po' meno veniva deportato nei gulag. Probabilmente, il futuro riserverà a coloro che non sposano la narrativa sanitaria vigente, dei gulag, che ovviamente in virtù della manipolazione del linguaggio, il tetro nome Gulag, potrebbe essere chiamato con un più attuale e politicamente corretto Green village Dream! Intanto accontentiamoci dell’ apartheid virologica.