Menu
 

È dogmatica l’equazione fascismo = violenza, tant’è che quando sono evidenti le violenze degli antifascisti, quest’ultimi vengono apostrofati come antifascisti che fanno propri metodi fascisti. Il Fascismo ideologico è antitetico alla violenza. Le ideologie comuniste e capitaliste sono intrinsecamente violente.

Il governo monarchico fascista costruii un ponte immaginario per poggiare e dare continuità alle esperienze storiche del passato strettamente legate ad una visione del mondo tradizionale, medioevo, romanità, con l’intento di superare il fiume delle epoche delle rivoluzioni, periodo che diede origine alle sanguinose forme di governo moderne, per l’appunto il socialismo/comunismo/anarchia e capitalismo.

Il fascismo volgeva il suo sguardo al concetto di duello con piglio nobile, virile, giusto così come tramandato dai riferimenti oplitici del passato indeuropeo e dalla cavalleria medievale. << In origine come vediamo nei poemi omerici, l’uomo aristocratico è dedito in primo luogo all’attività militare: è la guerra che fa risaltare le doti fisiche e morali che ogni uomo “bennato” deve possedere, è la guerra che davvero esalta e giustifica la superiorità degli aristocratici sul resto della comunità (Storia greca, pag. 153 – M.Bettalli, A. D’Agata, A.Magnetto – Carocci editore) >>; <<Chanson de Roland: I valori che caratterizzano la Chanson de Roland sono: la fedeltà al proprio signore, la fede cristiana, l'onore, da tutelare a ogni costo e con ogni mezzo; l'eroismo in battaglia. Alla celebrazione delle virtù militari nella dimensione del martirio cristiano – il cavaliere che muore in battaglia è equiparato al santo che rinuncia alla propria vita per la fede>>.

Vladimir Ilic Ulianov (Lenin): <Il terrorismo è la nostra unica e assoluta strada>; <Essere implacabili in modo esemplare (…). Bisogna incoraggiare il terrore di massa (…). Fucilate senza domandare niente a nessuno e senza stupide lentezze (…). La dittatura è un potere che poggia sulla violenza, e senza vincoli di legge (…)>.

Antonio Gramsci:<Una menzogna in bocca a un comunista è una verità rivoluzionaria>.

Facciamo un po’ di storia; come premessa essenziale è da ricordare che l’Italia, ma non solo l’Italia, dopo la fine della Prima guerra mondiale, viveva in una situazione pre-rivoluzionaria. Il Partito Socialista Italiano (il P.C. d’I. non era ancora nato) e i relativi sindacati, nel solo 1919 imposero, oltre 1.800 scioperi, coinvolgendo 1.158.700 lavoratori. Cifra rapportata al decennio precedente aumentata del 435,8%. E agli scioperi facevano seguito violenze di ogni genere; d’altra parte i consigli di Lenin per l’instaurazione della dittatura del proletariato (sull’esempio di quella dell’URSS), non lasciavano dubbi: <Il terrorismo è la nostra unica e assoluta strada>. Ligio a questa direttiva, nella prima pagina dell’Avanti! del 13 dicembre 1918 (il fascismo non era ancora nato!) si poteva leggere: <Il Partito Socialista si propone come obiettivo l’istituzione della repubblica socialista e la dittatura del proletariato, seguendo l’esempio russo>. Si svilupparono sempre più disordini e violenze: nella bassa padana, ad esempio, si ebbero le prime spedizioni punitive, che contrariamente a quanto ancora oggi si sostiene (basta leggere i giornali dell’epoca) erano organizzate dalle cooperative rosse aventi lo scopo di mantenere nelle zone il proprio predominio. Non c’era manifestazione o sciopero, al grido di <Abbasso la Patria, Viva Lenin>, che non degenerasse nel sangue, con tricolori stracciati, soldati assaliti, sputacchiati e, a volte, uccisi. Le prime azioni squadristiche non erano di “marca fascista”- in quanto avvenute nell’inverno 1918 - primavera 1919, cioè quando il fascismo non era ancora nato – ma “rosse”; avvenivano principalmente nell’Emilia-Romagna; e obiettivi erano i contadini di quelle terre restii ad iscriversi ai sindacati socialisti. Il programma del nascente Partito Comunista d’Italia, dettato proprio da Gramsci è sintetizzato su Il Comunista, che in data 20 gennaio 1920 titolava: <Con l’Internazionale di Mosca – Per la Rivoluzione Proletaria Mondiale>. Antonio Gramsci era tutt’altro che un democratico e un pacifista, egli spingeva le masse verso una rivolta <sulla falsariga di quella russa>. Caratterizzante è una massima demoniaca: <Ogni atto viene concepito come utile o dannoso, come virtuoso o scellerato, solo in quanto ha come punto di riferimento il moderno principe stesso (il partito, nda) e serve ad incrementare il suo potere o controllarlo>.

In questa campagna al massacro, Antonio Gramsci non era solo; il cattolico filocomunista (oggi diremmo cattocomunista) Giovanni Miglioli (Attilio Tamaro, Vent’anni di storia, pag. 174n.): <Faremo fare agli agrari la fine di Giuda; li appenderemo coi piedi in su e la testa in giù agli alberi delle nostre terre: squarceremo il loro putrido ventre da cui usciranno le grasse budella turgide di vino. E nelle contorsioni dell’agonia noi danzeremo intorno non la danza della vendetta, ma la danza della più umana giustizia (…). Ed i fascisti, delinquenti, scherani lanzichenecchi, assoldati all’Agraria, seguiranno eguale sorte>. Riconosce il politologo Domenico Settembrini, pag. 70: <Quando mai il fascismo ha raggiunto il grado di fredda ferocia nella soppressione degli avversari politici, di sistematicità scientifica nel soffocamento di qualsiasi forma di spontaneità popolare, di oscurantismo nella censura dell’alta cultura – è noto che Lenin incaricò la moglie di fare un’attenta epurazione delle biblioteche, mentre nulla si sa di analoghe attività assegnate a Donna Rachele>. Ancora Settembrini (pag. 150): <Il ricorso alla violenza all’interno alla sinistra nelle campagne italiane risale agli anni della prima guerra, quando tra i repubblicani, che avevano la loro base in mezzo ai mezzadri, e i socialisti, che reclutavano forze soprattutto tra i braccianti, non erano infrequenti in certe zone le risse, gli assassini a tradimento e talvolta rudimentali spedizioni punitive a scopo di vendetta>. Zumino Pier Giorgio, La questione cattolica nella sinistra italiana, pagg. 31-33: <Non va però dimenticato che la CGL, usava fare pressione sugli industriali perché licenziassero gli operai cattolici che rifiutavano di iscriversi a quel sindacato, richiesta a cui gli industriali ottemperavano, perché come osservò un funzionario in una comunicazione a Giolitti, quelli cattolici rappresentano di fronte agli operai appartenenti alle leghe rosse una proporzione come di uno a cento>. Sarebbe opportuno ricordare le violenze perpetrate a danno di militari che avevano già tanto sofferto nelle trincee, violenze che si verificarono principalmente nelle grandi città. Sarebbe bene ricordare anche quel che si verificò tra il 10 e il 15 aprile 1919 a Roma e a Milano, quando socialisti e anarchici scesero in piazza con l’intento di dimostrare che le forze bolsceviche dominavano ormai la piazza. Anche se in quei giorni di aprile il fascismo come forza organizzata non esisteva ancora, tuttavia la manifestazione rossa fece esplodere il fenomeno fascista. A luglio del 1919 i socialisti scatenarono una serie di violenze che provocarono ventisei morti, oltre trecento feriti e il saccheggio di 1200 negozi. Sempre in quell’anno vennero costituiti i Soviet. In Val Bisenzio addirittura venne proclamata una Repubblica sovietica. A giustificazione del saccheggio dei negozi, sull’Avanti! del 5 luglio si poteva leggere: <Le merci sono del popolo, prodotte dal sudore del popolo e ad esso ritornano per il potere di una forza contro la quale nessuno può reagire (…)>. Il movimento insurrezionale, appunto sulla falsariga di quella di Mosca, si sviluppò a Forlì dove venne emesso il primo decreto del Soviet, Milano, Genova, Torino hanno fatto seguito. Il Corriere della Sera del 7 luglio riporta: <Violente scene di saccheggio si sono verificate oggi a Torino (…). Particolarmente prese di mira, oltre parecchie salumerie e negozi di uova e pollame, furono le rivendite di calzature, specie le più eleganti del centro (…)>. A questi atti, che ormai erano di prassi quotidiana, il 20 e 21 luglio fu organizzato uno sciopero generale in segno di solidarietà verso i compagni rivoluzionari russi e ungheresi che si concluse con disordini e pestaggi. 

In un dibattito alla Camera Gramsci ebbe l’impudenza di rimproverare Mussolini per l’uso della violenza praticata dai fascisti; al che Mussolini replicò ricordando che fu proprio il suo compagno di partito, Bordiga, a giustificare l’uso della violenza. Nella controreplica Gramsci superò sé stesso sostenendo: <Noi siamo sicuri di rappresentare la maggioranza della popolazione, di rappresentare gli interessi più essenziali della maggioranza del popolo italiano; la violenza proletaria è perciò progressiva e non può essere sistematica. La vostra violenza è sistematica e sistematicamente arbitraria, perché voi rappresentate una minoranza destinata a scomparire>. Una controreplica, quella di Gramsci, che ben si allinea a quanto da lui stesso sostenuto, e cioè che <una menzogna in bocca a un comunista è una verità rivoluzionaria>. Infatti, quando mai la maggioranza del popolo italiano era di marca rossa’?

Antonio Falcone nella rivista Storia e Verità: <In un certo senso si può dire che i fascisti la violenza non tanto la imposero quanto la subirono. Lo dimostra il numero dei loro caduti, che fu di gran lunga superiore a quello degli avversari>. Lo scrittore antifascista Gaetano Salvemini nel suo volume Scritti sul Fascismo, a pag. 38 annota: <Tanta violenza poteva aver luogo per l’incapacità delle forze dell’ordine e della magistratura e dallo strapotere tracotante e capriccioso dei sindacati rossi>. Scrive Giorgio Bocca (Mussolini socialfascista) che il fascismo fu violento e sopraffattore, ma lo fu perché trovò davanti a sé una sinistra antidemocratica, violenta, autoritaria e sopraffattrice. Ancora più interessante quanto ha scritto Percival Phillips, corrispondente del Daily Mail che visse in quegli anni in Italia: <Essi (i fascisti) combatterono il terrore rosso con le stesse armi. Compivano rappresaglie che turberebbero quei pacifisti che volevano la pace a tutti i costi. Ai sistemi di Mosca risposero con i sistemi fascisti. Di certo non imitarono i sistemi comunisti, di gettare vivi gli uomini negli alti-forni, come fu deciso a Torino da un tribunale rosso composto in parte da donne, né torturarono i prigionieri come fecero in altre parti d’Italia i seguaci di Lenin>. D’altra parte gli ordini che partivano da Vladimir Ilic Ulianov (Lenin) erano tassativi: <essere implacabili in modo esemplare (…). Bisogna incoraggiare il terrore di massa (…). Fucilate senza domandare niente a nessuno e senza stupide lentezze (…). La dittatura è un potere che poggia sulla violenza, e senza vincoli di legge (…)>. Sono solo alcuni estratti della Komsomolskaja Pravda, riportati da Andrea Bonanni, corrispondente a Mosca del Corriere della Sera.

   Perché il Fascismo si sviluppò tanto rapidamente? Una risposta ci può essere fornita dal geologo, esploratore e scienziato Ardito Desio, che concepì e mise in atto la conquista della seconda vetta del mondo, il Karakorum (il K2), raggiunta nel 1954; questi in una intervista concessa alcuni anni fa, fra l’altro attestò: <Il fascismo ha avuto molti aderenti, dopo la fine della Prima guerra mondiale fra noi ufficiali perché si viveva in un clima di puro terrore. Si subivano pestaggi, bastonature. Numerosi furono assassinati per il solo fatto di portare le stellette. Il fascismo portava il rispetto civile, l’ordine, il rinnovato senso della Patria ed è per questo che ha avuto un gran seguito>.

Alcide Degasperi su Il Nuovo Trentino del 7 aprile 1921: <Il fascismo fu sugli inizi un impeto di reazione all’internazionalismo comunista che negava la libertà della Nazione (…). Noi non condividiamo il parere di coloro i quali intendono condannare ogni azione fascista sotto la generica condanna della violenza. Ci sono delle situazioni in cui la violenza, anche se assume l’apparenza di aggressione, è in realtà una violenza difensiva, cioè legittima>.

Sopra, in sintesi descritto quel che fu e chi furono davvero i violenti, violenze con i soliti violenti della solita malvagia ideologia ripresero da dove avevano lasciato e si scatenarono non appena il governo monarchico fascista fu destituito, così come raccontato da Arrigo Petacco, Gigi Di Fiore, Marco Pirina, Gianpaolo Pansa, Gianfranco Stella.

“Le Livre noir du communisme: Crimes, terreur, répression, 1997”, a cura dello storico del comunismo Stéphane Courtois riporta per approssimazione in difetto i morti cagionati nel mondo dell’ideologia marxista: URSS, 20 milioni di morti, Cina, 65 milioni di morti, Vietnam, un milione di morti, Corea del Nord, 2 milioni di morti, Cambogia, 2 milioni di morti, Europa dell'Est, un milione di morti, America Latina, 150 000 morti, Africa, un milione e 700 000 morti, Afghanistan, un milione e 500 000 morti, movimento comunista internazionale e partiti comunisti non al potere, circa 10 000 morti.

Courtois indica le principali fasi della repressione che in Unione Sovietica sono: fucilazione di decine di migliaia di persone imprigionate senza essere state sottoposte a giudizio e massacro di centinaia di migliaia di operai e di contadini insorti fra il 1918 e il 1922; deportazione ed eliminazione dei cosacchi del Don nel 1920; carestia russa del 1921-1923, che ha provocato la morte di 5 milioni di persone; assassinio di decine di migliaia di persone nei campi di concentramento fra il 1918 e il 1930; deportazione tra i due e i 3 milioni di kulaki (o presunti tali) nel 1930-1932; sterminio di 7 milioni di ucraini nel 1932-1933 per carestia indotta e non soccorsa (Holodomor); eliminazione di quasi 690 000 persone durante la grandi purghe del 1937-1938; deportazione di centinaia di migliaia di polacchi, ucraini, baltici, moldavi, bessarabi, tedeschi, tatari, ceceni e ingusci negli anni fra il 1939 e il 1945.

E bene ricordare, che laddove il comunismo ha preso il potere, lo ha fatto senza nessuna elezione, ma si è imposto con la forza bruta, la più violenta ed inaudita.

Esorto a far proprio il l’umile pensiero che rese unico Socrate. “sapere di non saper”.