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E di qualche giorno fa la notizia del viaggio del presidente della Repubblica italiana in Azerbaigian e in Georgia.

Mattarella ha occupato i titoli degl’organi d’informazione nazionale per l’insistente esortazione –diventato un mantra- all’accoglienza degli stranieri. Ragionevolmente l’invito può essere accolto e condiviso, infatti ogni uomo dotato di cuore accoglie le persone amiche, spalanca le porte della propria dimora per le persone che invita. Si accoglie chi s’invita, non si può accogliere chi non è stato invitato, non si può accogliere chi strumentalmente è utilizzato per fare gli interessi di Ong, cooperative, associazioni, non si può ospitare chi è utilizzato per impoverire il mercato del lavoro, non si può accogliere chi delinque, non si può accogliere chi viene usato dalla massoneria finanziaria per distruggere la nostra civiltà, la nostra cultura, la nostra storia, la nostra intelligenza, la nostra etnia.

Lo sa benissimo lo stato d’Israele (Palestina) che in questi giorni con la delibera dalla Knesset ha deciso che lo stato ebraico (palestinese) è una nazione per soli ebrei, tradotto uno stato razziale (le associazioni anti razziste non pervenute).

Signor Presidente della Repubblica, da un governo illegittimo eletto, non servono i suoi inopportuni ed inadeguati consigli, il popolo italiano –almeno una parte di esso- conosce quale sono le virtù, le sue virtù, hanno radici lunghe, lunghissime, si chiamano Fides et pietas.

Rileggendo le Considerazioni di Montesquieu, Pierre Grimal non si era interessato alle cause della decadenza dei Romani. Si era limitato a considerare quelle della loro grandezza perché più vicine alla sua erudizione. Pur non idealizzando i costumi dell’antica Roma, gli pareva tuttavia di riconoscervi due virtù: la pietas e la fides.

“La pietas - spiega - consiste nel conformare il proprio comportamento a un certo ordine, che non è solamente quello che una società ha stabilito per gli uomini, ma che appartiene a tutto l’universo, divino prima ancora che umano”. Il primo mito specifico, a Roma, quello che le appartiene in modo essenziale e la differenzia dalle altre città italiane, è il mito di Enea che fugge da Troia, col padre Anchise sulle spalle e il figlio Ascanio per mano e che porta con sé tra le pieghe del mantello gli dei Penati. “Roma prende origine da un eroe che, di fronte alla violenza, ha messo in salvo ciò che la pietas gli ha ordinato di salvare. Ha garantito la sopravvivenza di suo padre e suo figlio, della razza, di tutti, dei e uomini, e ciò costituisce il nucleo di una nazione. È arrivato nel Lazio non da conquistatore, da capobanda che cerca di ritagliarsi un impero dopo la caduta della sua patria. Viene accompagnato da un vecchio e un bambino, ricco soltanto del proprio passato, del proprio futuro e degli dei che garantiscono la sua salvaguardia”.

La pietas dei Romani era la pietà filiale, quel sentimento per cui ognuno si sentiva debitore in eterno verso tutto ciò che aveva ricevuto, alla nascita, dagli avi, dalla patria, dagli dei immortali; per trasmettere una tale eredità poteva arrivare a dimenticare il diritto imperioso di sé. Per Pierre Grimal è questo il primo segreto della grandezza romana: “Gli esseri umani, a Roma, non si considerano il centro di ogni potenza, una monade anarchica, ma si pensano come depositari di una razza che devono perpetuare perché così è l’ordine del mondo”.

L’altra virtù era la fides, da non confondere con la lealtà, anche se erano legate. “La natura della fides - scrive Grimal - ci viene rivelata dal simbolo che la rappresenta, una mano destra circondata di bende(...). Perché una mano destra? Perché la mano destra è la forza vittoriosa: sorregge la spada, uccide, può uccidere, in virtù del diritto che concede la vittoria potrebbe massacrare lo sconfitto, ma proprio grazie alla fides viene tesa a chi supplica, per risparmiargli la vita. È proprio questo gesto così semplice e così inatteso in un mondo in cui tutto sembrava basarsi sulla forza a costituire una delle forme più piene della grandezza romana. È questa volontà di non prendere per definitiva una situazione imposta dalla violenza, di fare in modo che la guerra venga superata, non per aver annientato il nemico, ma per farlo sopravvivere in modo pacifico”. La fides si basava sull’assimilazione dei vinti e ciò permise a un impero conquistato con la spada di far regnare una pace civilizzatrice.

“Il popolo romano - dichiarò Scipione dopo aver preso Cartagine - preferisce vincolare gli uomini grazie ai benefici, anziché al timore, e tenere legate a sé le nazioni straniere in buona fede e alleanza, anziché sottometterle a una triste schiavitù”. La fides univa i popoli assoggettati a Roma attraverso la potenza dei giuramenti. Se avveniva un tradimento, anche da parte dei Romani stessi, ciò rappresentava la vera disfatta. “Queste clausole, lette ad alta voce, su tavolette di cera, senza malafede comprese qui e oggi - recita la formula che conclude i trattati - il Popolo Romano sarà il primo a non violarle mai. Se le violerà per primo per decisione pubblica, dando prova quindi di malafede, quel giorno Giove colpirà me e il popolo romano allo stesso modo in cui ora sto per colpire questo maiale, anzi, più forte, perché la Sua potenza e la Sua forza sono più grandi”.

La pietas infondeva ai Romani l’energia per perpetuarsi e sopravvivere. La fides dava loro i mezzi per non soccombere alla vertigine dell’onnipotenza.

Illustrissimo Presidente Mattarella, Lei e chi come ella sposa e perora la causa globalista ricordi che ACCOGLIENZA è un semplice sostantivo grammaticale, FIDES e PIETAS le virtù, la prima utilizzata per minare e cancellare le multiformi e multicolori civiltà esistenti al mondo, le seconde per mantenere vive  le diverse civiltà  del mondo, resistendo all’innaturale uniforme monocolore.

“Nessuna civiltà - scrive René Grousset nel suo Bilan de l’Histoire - è mai stata distrutta da fuori prima che si fosse demolita lei stessa dall’interno; nessun impero viene conquistato dall’esterno se prima non si è suicidato. Una società, una civiltà si disfano con le loro mani solo quando hanno smesso di capire la loro ragion d’essere, quando l’idea dominante intorno alla quale un tempo erano organizzate diventa estranea. Questo fu il caso del mondo antico”.

Emilio Giuliana