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Divorzio dal latino divortium «separazione». La parola separazione nell’inconscio umano evoca un sentimento negativo, ma che nell’accezione del divorzio matrimoniale, nelle società moderne ha assunto un significato di bontà, progresso positivo, sintomo di civiltà, così viene propagandato, così il conformismo dominante insegna ed indottrina. Attraverso la manipolazione del linguaggio, facendo leva sulle coscienze, viene ripetuto con forza come un mantra che per i bambini, piuttosto che vivere e subire le liti continue dei genitori per il loro bene e meglio che mamma e papà divorzino. Dall’introduzione della legge Fortuna-Baslini (legge sul divorzio), 1º dicembre 1970, molti studi hanno dimostrato e smentito gli effetti positivi del divorzio sui bambini, anche in situazioni di grave disaggio coniugale, più di quanto non faccia la morte dei genitori. Questo è quanto si può evincere da alcuni studi condotti dalla Virginia Commonwealth University e dall’Università di Tokyo. Su quasi 3.000 gemelli, è stato evidenziato che i figli dei divorziati hanno manifestato disturbi e malattie mentali in numero decisamente maggiore rispetto ai bambini rimasti orfani di un genitore.

I ricercatori hanno studiato i collegamenti statistici tra la perdita dei genitori -sia per morte, sia per divorzio- e sette disturbi psichiatrici gravi che conducono a pericolo di vita: depressione, disturbo d’ansia, fobie, attacchi di panico, dipendenza da alcol, abuso di farmaci e tossicodipendenza.

Dagli studi è emerso che il trauma per la morte dei genitori persiste per un tempo più breve rispetto alle conseguenze del divorzio.

Anche l’Università di Toronto ha rilevato ed indicato le conseguenze a cui vanno incontro i figli di genitori divorziati. In età adulta, sono più facilmente propensi al suicidio di quelli che hanno avuto una famiglia stabile. Tali dati sono confutati nel libro “la separazione e il divorzio” pubblicato dal Telefono Azzurro.  Riporto alcuni passi del suddetto libro: <<la separazione dei genitori è uno degli eventi più stressanti che un bambino possa vivere>>; <<I figli di una coppia che ha fallito il proprio progetto matrimoniale tendono spesso a vivere la rottura del nucleo familiare come un’ingiustizia>>; <<Il primo pensiero che attraversa la mente di un bimbo quando apprende che mamma e papà non vivranno più insieme è inevitabilmente di abbandono>>; <<paura che può essere dirompente, che precipita nell’angoscia>>; <<durante e dopo la separazione può succedere che i figli diventino ansiosi, irritabili, depressi; possono piangere senza motivo, avere dolori allo stomaco, soffrire di insonnia, andare male a scuola, comportarsi in modo aggressivo: si tratta di un «dolore fortissimo, come un lutto>>; <<senso di frustrazione legato all’inutilità dei propri sforzi, aumentano con “l’arrivo di un nuovo compagno/a”, ovviamente incapace di sostituire il vero genitore>>.

Importante a tal proposito la dottrina scientifica della SIMPIA (Società italiana di neurologia e psichiatria dell’infanzia e adolescenza) orientato a confermare l’esistenza del “fatto clinico”, ovvero Sindrome di Alienazione Genitoriale (PAS). Seguono a tal riguardo alcune spiegazioni del dottor Francesco Montecchi, esposte nel suo libro “I figli nelle separazioni conflittuali e nella (cosiddetta) PAS”. <<Nelle separazioni ad alta conflittualità e nella cosiddetta PAS cosa succede nel mondo interno dei bambini? Quali sono le strutture di base su cui poggia il loro funzionamento psichico, emotivo e relazionale e da cui ne derivano le conseguenze? Quali sono le conseguenze quando perde o deve rinunciare al rapporto con un genitore? Per dare delle risposte e aprire una profonda riflessione intorno a questo tema, prima di esporre il funzionamento emotivo e i presupposti del trattamento dei bambini testimoni della separazione ad alta conflittualità, preliminarmente vengono delineate alcune caratteristiche dello sviluppo del bambino. Ci si avvarrà di un riferimento teorico sul valore che hanno, nella salute mentale e comportamentale dei bambini, i genitori reali rapportati alle immagini genitoriali interne.

Nel corso della propria vita, il bambino ha la necessità di stabilire un solido rapporto con entrambi i genitori, che non gli forniscono solo le cure fisiche e affettive di cui ha bisogno ma sono determinanti per la costruzione del mondo interno del figlio. Per comprendere il ruolo che i genitori rivestono nella costruzione della psiche infantile, si farà ricorso ai modelli teorici elaborati dalla psicologia dinamica, in particolare al modello della psiche elaborato da Jung e sviluppato da Fordham (1944 – 1969) e Neumann (1963). Fin dall’antichità l’organizzazione familiare ha permesso agli individui di avere una struttura sociale che garantisse la loro esistenza. Nonostante esistano vari modelli di famiglia, l’esperienza di avere dei genitori che provvedano allo sviluppo dei figli è un’esperienza comune alla maggior parte delle culture, un’esperienza radicata negli strati più profondi della psiche, che ne costituisce un modello organizzativo. Per Carl Gustav Jung l’idea di padre e di madre sono immagini migrate nell’inconscio attraverso numerose generazioni, indipendentemente da madre a padre reali, riconoscendoli come archetipi. Tra i molti archetipi che svolgono una funzione essenziale, quelli che riguardano la madre e il padre hanno un ruolo estremamente importante nello sviluppo psichico. L’esistenza all’interno della psiche dell’archetipo del padre e della madre non è tuttavia sufficiente a determinare lo sviluppo del bambino. Perché la costellazione archetipa diventi psichicamente operante, è necessaria una sua evocazione, adeguata al momento evolutivo del bambino, e che deve essere inizialmente attivata dall’esperienza reale cioè, necessita della relazione con i genitori reali, per esempio, come indica Jung, la forza attrattiva dell’archetipo materno, spinge il bambino ad aggrapparsi ostinatamente al seno della madre in tal modo l’archetipo potenziale, innato, diventa attivo e va a costellare l’immagine interna della madre. La funzione dell’archetipo materno e di quello paterno è quello di preparare e guidare l’incontro con la madre e poi con il padre. Dietro le esperienze reali del padre e della madre ci sono dunque le immagini archetipiche patema e materna. I genitori reali diventano significativi sia perché sono portatori di immagini che in parte li ricopiano, sia perché con la loro presenza attivano nel bambino dei contenuti psichici (le immagini genitoriali) indispensabili per lo sviluppo e per la propria vita e per la costruzione della sua famiglia reale.

Le immagini genitoriali interne fanno parte della costruzione strutturale psichica di ogni individuo e assumono importanti funzioni di guida nella conservazione dell’equilibrio psico-sociale. La madre e il padre offrono al bambino/a due diverse possibilità di identificazione, una femminile e una maschile necessarie al suo processo di maturazione. Dalla relazione con i genitori deriva quindi anche l’attivazione della funzione maschile e femminile che orienta l'individuo nelle relazioni con il mondo esterno (gli affetti, le relazioni di coppia, le amicizie, il lavoro ecc) e sono in grado di attivare una competenza genitoriale, potenziale, che si espliciterà quando diventeranno essi stessi genitori.

Quando invece sperimenta una relazione danneggiata con i genitori è costretto a negare e a rinunciare a uno dei due genitori o non gli è possibile mantenere il rapporto con un genitore, non rinuncia solo al genitore reale ma anche all'attivazione dell’immagine interna corrispondente. La perdita del legame con una figura genitoriale ha un ruolo determinante nello sviluppo e può determinare delle mancanze nell’assunzione della propria funzione sociale e genitoriale e può provocare l’insorgere di patologie: tanto i futuri rapporti sociali, quanto la futura realizzazione del proprio ruolo di madre o di padre sono strettamente connessi al rapporto con i genitori reali e con i    modelli interni che essi hanno attivato.

Questi riferimenti teorici ci vengono confermati dall’esperienza clinica della psicologia del profondo e ci aiutano a comprendere quanto sia essenziale per lo sviluppo del bambino poter mantenere il rapporto con entrambi i genitori e come, attraverso ciò, si possa effettuare un’importante opera di prevenzione di successive deviazioni, disagi, incompetenze, nel passaggio all’età adulta.

Fin dal momento del concepimento la triade madre-padre-bambino è biologicamente inscritta nella nostra esperienza corporea, non può esistere un figlio se non ci sono un padre e una madre, allo stesso modo non possono esistere un padre o una madre, senza il figlio e senza l’altro genitore; cioè non si possono considerare separatamente. Essere padre, madre o figlio significa essere in relazione a qualcun altro. Un padre e una madre nascono quando nasce un figlio; possiamo dire che, se è vero che a far nascere un figlio sono un uomo e una donna, è altrettanto vero, paradossalmente, che è il figlio a far nascere un padre e una madre. Nella letteratura analitica si fa spesso riferimento sia alla madre e all’archetipo materno, sia al padre e all’archetipo paterno, sia al bambino e all’archetipo del Fanciullo, considerando separatamente queste figure. Questa teorizzazione non permette però di cogliere le relazioni tra queste figure suggerendo l’esistenza di un archetipo familiare. L’incontro del bambino con i genitori reali non attiva solo le immagini interne del padre e della madre, ma costella anche l’archetipo della famiglia, costituito dalla triade madre-padre-figlio. La costellazione e il funzionamento dell’archetipo della famiglia si completa infatti, intorno ai 3-4 anni con l’emersione della tematica edipica. Benché il triangolo edipico sia spesso considerato in modo problematico, per la conflittualità che innesca all’interno della situazione edipica, l’attrazione verso il genitore di sesso opposto e la rivalità sperimentata verso il genitore dello stesso sesso non è l’unica coppia di opposti attivati. Accanto agli affetti di segno opposto vengono sperimentati dal bambino anche le valenze maschili e femminili incarnate dai due genitori, valenze che il bambino deve riconoscere e integrare dentro di sé. L’unione intra-psichica del polo maschile e di quello femminile, rappresentati dai genitori, si costituisce appunto dall’archetipo familiare, che riassume e comprende al suo interno tutte le dinamiche edipiche. Il rapporto del bambino con le figure genitoriali, consente, dunque, l’attivazione di un terzo elemento simbolico integrante, l’Archetipo della famiglia, che diviene particolarmente importante in questa fase dello sviluppo, strutturando le future relazioni dell’individuo con la famiglia interna ed esterna.

La presenza di quest’archetipo, le cui tracce sono riscontrabili in ogni epoca e cultura, si manifesta per esempio nell’immaginario cristiano, attraverso le raffigurazioni della Sacra Famiglia. Se l’immagine della divinità, contraddistinta in senso maschile all’interno della nostra cultura, rappresenta l’archetipo paterno, e se nel Bambino Gesù si manifesta l’archetipo del Fanciullo, nell’immagine di Maria si rende visibile l’archetipo materno. Maria, strumento della nascita divina a opera dello Spirito Santo, interpretato come madre dagli gnostici, è implicata nella Trinità, rappresentando la partecipazione dell’umano al divino (Jung, 1942-48, Commento al dogma della Trinità). L’importanza della Madonna per i cattolici non solo mostra la rilevanza del femminile-materno all'interno di una cultura religiosa in cui predominano gli aspetti maschili, ma evidenzia la necessità psichica di rappresentarsi un triade familiare in cui prende forma archetipica. Presente nell’iconografia religiosa cristiana attraverso presepi e natività, l’Archetipo della Famiglia si ripropone frequentemente nell’ immaginario individuale, come mostreranno successivamente, i casi clinici illustrati. L’attivazione dell’Archetipo familiare è soggetta alle stesse leggi che regolano la costellazione degli altri archetipi. Questi vengono attivati, all’interno di situazioni reali, dall’incontro del bambino con persone corrispondenti agli archetipi di cui sono evocatori; attraverso la relazione con due genitori si realizza la costellazione dell’Archetipo della famiglia che è necessaria sia alla costruzione di un modello familiare interno, sia successivamente alla realizzazione di una famiglia reale. Può tuttavia accadere che il dispiegarsi dello sviluppo archetipo avvenga in modo parziale o scisso delle figure evocatrici, qualora la situazione familiare esterna sia connotata da carenze e scissioni. Il bambino è predisposto a una crescente frustrazione, radice di una profonda insoddisfazione e sofferenza, che rende particolarmente problematici i suoi futuri rapporti affettivi e le immancabili vicissitudini che accompagnano, sul piano della realtà, la formazione di una propria famiglia.

Queste considerazioni teoriche ci aiutano a comprendere quanto sia essenziale per lo sviluppo del bambino poter mantenere il rapporto con entrambi i genitori. Però in presenza di situazioni difficili, come accade nelle situazioni di violenza familiare, di separazione conflittuale dei genitori o nella cosiddetta PAS, ci si può chiedere se sia corretto mantenere il rapporto del bambino con il genitore anche se questi è incompetente o pericoloso. L’esperienza clinica ci porta ad affermare che di fronte a un genitore assente, rifiutato, poco conosciuto, il bambino invece di confrontarsi con i limiti del genitore, provando a integrarne le caratteristiche, può reagire demonizzandolo e rifiutandolo, o, al contrario, idealizzandolo. In ogni caso la sua immagine genitoriale rimarrà scissa e il bambino non potrà utilizzare il rapporto con il genitore per modificare l’attivazione unilaterale dell’aspetto positivo o negativo della corrispondente immagine interna. Ma allora si può ipotizzare che, salvaguardate le esigenze di protezione del bambino, potrebbe risultare meno dannoso il confronto con un genitore reale, che ne permetta di metterne a fuoco ed elaborarne gli aspetti positivi e negativi, piuttosto che l’eliminazione di una figura essenziale allo sviluppo.

I bambini nel loro sviluppo hanno necessità di sperimentare e di avere garantita la “genitorialità”, che è una funzione unitaria, che per funzionare ha necessita dei due genitori; la possiamo rappresentare con l’immagine unitaria, della bicicletta che per camminare ha bisogno di due ruote (= i genitori) e, se una delle due ruote non funziona, la bicicletta (= la genitorialità) non cammina. Cioè non è, come tanti genitori sostengono, che basta che il figlio abbia uno dei genitori presente, competente ed efficace affinché la vita figlio possa andare necessariamente bene>>.  

Più di un milione di minorenni vivono la condizione di figli di genitori separati, in uno stato d’animo di quasi normalità, intimamente e socialmente non riducono il fardello di quello strappo, delle lontananze tra padre e madre, spesso in situazioni di aperta conflittualità, nelle quali i figli diventano terreno di scontro principale tra i due ex coniugi.

Il convincimento che per i bambini è meglio il divorzio, piuttosto che le liti continue dei genitori. Ne siamo davvero sicuri?

In questa annosa questione bene s’inserisce il ddl Pillon; un raggio di sole che irrompe e squarcia le coltri nubi che oscurano ed avvolgono la meraviglia del creato, i bambini.  Simone Pillon ha avuto il coraggio, l’ardore, l’amore per la parte più debole delle famiglie, i figli. Il ddl Pillon è oro che cola, che bisogna con ogni mezzo e forza supportare, sostenere, condividere.

Emilio Giuliana