Il signor Francesco Filippi, da qualche tempo è assurto all’onore delle cronache locali e nazionali per aver pubblicato un libro con il quale pretende di far luce sui falsi convincimenti in merito all’operato del governo monarchico fascista, il quale avrebbe prodotto “cose buone”, credenze che definisce e liquida come bufale, sbugiardate e suffragate da sue ricerche, “partendo da fonti legislative”.
Innanzitutto, a tal riguardo il signor Filippi non è per niente originale, in quanto dal 1945 ad oggi, sono stati molti, tanti storici e amici dell’alta finanza che hanno gettato discredito senza riuscirvi sul governo monarchico fascista, rimediando solo figure barbine, causa l’ignoranza e disonestà intellettuale. Nel primo caso -ignoranza- ripropongo il pensiero di Mark Twain: è più facile ingannare la gente che convincere loro che sono stati ingannati; nel secondo -disonestà intellettuale- il convincimento di Antonio Gramsci: Una menzogna in bocca a un comunista è una verità rivoluzionaria.
In entrambi i casi, emerge un approccio privo di qual si voglia virtù.
Lo “storico” di Levico, deve fare i conti con un eccelso storico del Fascismo, il comunista ebreo Renzo De Felice, distorcendo e manipolando la realtà; il nostro liquida la questione come un fraintendimento. E pure, De Felice è stato molto chiaro, lo si capisce senza possibilità di confusione nella citazione che segue: tutto quanto detto e scritto sul fascismo e resistenza è falso perché la sinistra politica ha nascosto tante verità, tanti delitti, tante vergogne partigiane.
Il signor Filippi, come può smentire gli attestati di merito nei confronti del fascismo esternate dall’ebrea comunista Margherita Hack. "Quello che ha ottenuto il fascismo in campo sociale oggi ce lo sogniamo. Non si trattava solo dei treni in orario. Assegni familiari per i figli a carico, borse di studio per dare opportunità anche ai meno abbienti, bonifiche dei territori, edilizia sociale. Questo perché solo dieci anni prima Mussolini era in realtà un Socialista marxista e massimalista che si portò con sé il senso del sociale, del popolo". "Le dirò –prosegue la Hack– il fascismo modernizzò il paese. Resta una dittatura, ma anche espressione d'italianità. Bisognerebbe fare un'analisi meno ideologica su questo". Marzo 2013 Barricate
Andrea Camilleri: Io, sotto il fascismo, ero più libero di quanto voi lo siete adesso - Festival di Roma 2010
Carlo Lizzani: nel fascismo la cultura non subiva tagli, anzi era valorizzata al massimo dal regime anche con risultati a volte davvero straordinari. Basti pensare alla Mostra del Cinema di Venezia e anche all’attuale Centro Sperimentale di Cinematografia. L’equazione fascismo uguale reazione è sbagliata perché fa pensare a un’impossibilità di recupero e invece i processi messi in moto dal fascismo erano anche di modernizzazione. Per noi ragazzi si aprirono le porte di pubblicazioni come Primato, con Bottai e altri gerarchi che offrivano la possibilità ai giovani di scrivere per le principali riviste. Il Centro sperimentale di cinematografia, un’invenzione fascista, proiettava i film sovietici. Ci sentivamo promossi come nessun’altra generazione prima di noi. Le parole d’ordine erano “largo ai giovani” e “la borghesia la seppelliremo”, mentre i nostri padri venivano da società gerontocratiche, bloccate. I Littoriali erano grandi gare giovanili che davano ai diciottenni l’opportunità di viaggiare, uscire di casa, sentirsi autonomi rispetto alla famiglia e ai canoni borghesi.
Alcide Degasperi: Il fascismo fu sugli inizi un impeto di reazione all’internazionalismo comunista che negava la libertà della Nazione (…). Noi non condividiamo il parere di coloro i quali intendono condannare ogni azione fascista sotto la generica condanna della violenza. Ci sono delle situazioni in cui la violenza, anche se assume l’apparenza di aggressione, è in realtà una violenza difensiva, cioè legittima - Il Nuovo Trentino del 7 aprile 1921
Enzo Biagi: Mussolini è stato un gigante; considero la sua carriera politica un capolavoro. Se non si fosse avventurato nella guerra al fianco di Hitler, sarebbe morto osannato nel suo letto. Il popolo italiano era soddisfatto di essere governato da lui: un consenso sincero.
Gaetano Salvemini, anti fascista, scrisse: <L’Italia è diventata la Mecca degli studiosi della scienza politica, di economisti, di sociologi, i quali vi si affollano per vedere con i loro occhi com’è organizzato e come funziona lo Stato corporativo fascista >.
Franklin Delano Roosevelt: Mussolini deve passare alla storia come il costruttore di una migliore forma di convivenza fra i popoli.
Winston Churchill: Così finirono i ventuno anni della dittatura di Mussolini in Italia durante i quali egli aveva salvato il popolo Italiano dal Bolscevismo per portarlo in una posizione in Europa quale l’Italia non aveva mai avuto prima… Le grandi strade che egli tracciò rimarranno un monumento al suo prestigio personale e al suo lungo governo.
Secondo il signor Filippi, il riscontro positivo che sopravvive ancor oggi del fascismo, si motiva e giustifica a “causa” della propaganda operata dal governo monarchico fascista per mezzo del controllo delle trasmissioni radio e della carta stampata. Dunque, siamo davanti a un caso di stato confusionale ipertrofico. Dal 1945 al 2019 sono trascorsi 74 anni, sette decenni e mezzo che scolasticamente, mediaticamente – Filippi ne è la conferma- non passa giorno che non si faccia propaganda anti fascista. Oggi i mainstream sono sotto un controllo egemone massonico capital-comunista.
Sarcastico il NOSTRO storico sarcastico, “Quando c’era Lui i treni passavano in orario”! Certamente, saranno arrivati anche in ritardo -ma uno storico conosce come funzionano le ferrovie?!- ma la Treccani (http://www.treccani.it/enciclopedia/le-grandi-infrastrutture-il-sistema-delle-ferrovie-e-delle-autostrade_%28Il-Contributo-italiano-alla-storia-del-Pensiero:-Tecnica%29/), alla voce Ferrovie riporta quanto segue.
Ferrovie e fascismo
<<Il fascismo dette una spinta considerevole verso la trasformazione dell’organo ferroviario. Una delle prime misure volute da Benito Mussolini nel settore ferroviario consistette nella nomina di un commissario straordinario per l’azienda con lo scopo manifesto di risanarne i bilanci fortemente in perdita e di riorganizzare completamente il servizio. Il primo approccio del fascismo ai problemi della burocrazia statale si realizzò dietro la parola d’ordine ‘largo alle competenze’ accompagnata da una forte polemica antiburocratica; prevalse così il criterio dello sfoltimento e del ridimensionamento dell’apparato statale accusato di ‘elefantiasi burocratica’.
Fra il 1922 e il 1923 il fascismo mise in opera anche un rinnovamento dei quadri dirigenti improntato a criteri produttivistici e di efficienza, in nome di quella ‘burocrazia della cifra’ che avrebbe dovuto trasformare il sistema amministrativo italiano. Ma, in realtà, il regime mussoliniano puntava soprattutto a una politicizzazione del pubblico impiego a ogni livello, tentativo nel complesso fallito, così come fondamentalmente fallì lo sforzo modernizzatore e razionalizzatore dei metodi di lavoro. Nel giro di due anni, fra il 1922 e il 1924, il personale venne ridotto da 226.000 a 174.000 unità. I licenziamenti in massa avvennero sulla base di un’esigenza di natura efficientistica, che copriva in realtà la volontà di allontanare molti possibili avversari del regime. Gli sforzi riformatori resero la gestione del servizio ferroviario più sana sotto il profilo finanziario. Il progetto tecnocratico del fascismo assegnava ai tecnici e agli ingegneri in particolare una rinnovata credibilità politica e sociale, valorizzandone le funzioni e il ruolo. In quest’ottica si inquadra l’adozione da parte delle Ferrovie, che le accolsero fra le prime, delle tecniche tayloriste negli uffici, cioè di quello scientific management proveniente da oltreoceano, che rappresentava la frontiera più avanzata delle teorie organizzative in chiave razionalizzatrice.
Buoni risultati vennero ottenuti anche con il secondo ciclo di elettrificazione, apertosi nel 1922 e che condusse a una dotazione, nel giro di sei anni, di 2799 km, i quali consentirono all’Italia dell’epoca di occupare la posizione più alta in Europa. La crisi del 1929 influì pesantemente sui programmi di elettrificazione, senza però bloccarli: nel 1939 ben 5160 km saranno elettrificati, il 44% dei quali con il sistema trifase.
Nel complesso, l’immagine che il nostro Paese riusciva a offrire anche all’estero in epoca fascista era, sul versante ferroviario, di grande vitalità e di buona amministrazione. Il regime, del resto, puntava le sue carte con convinzione sulle ferrovie, considerandole una vetrina irrinunciabile in grado di veicolare una visione del fascismo funzionante. La politica seguita in questi anni puntò a migliorare, nei limiti delle risorse disponibili, impianti fissi e materiale rotabile per assicurare in via prioritaria il trasporto sulle lunghe distanze. Nel 1927 venne inaugurata la Direttissima Roma-Napoli, che riduceva di 34 km il tragitto esistente; sette anni dopo la Bologna-Firenze, con la più lunga galleria a binario doppio. Il grado di modernità e di efficienza raggiunto dalle ferrovie italiane alla vigilia della Seconda guerra mondiale poteva considerarsi in definitiva, nonostante le pecche ancora esistenti, del tutto apprezzabile.
L’innovazione tecnologica nel settore della trazione
Nel campo della trazione, fra il 1920 e il 1940, il vapore dominava ancora il panorama ferroviario italiano, ma i tecnici ormai erano orientati verso la corrente elettrica trifase, in attesa della definitiva applicazione di quella continua. Il frutto principale della progettazione italiana in quest’epoca fu il gruppo E550 costruito inizialmente in 186 unità, che rappresentava all’epoca una delle punte di diamante su scala europea. Da quel momento, l’impegno della progettazione ferroviaria, gestita internamente all’azienda, fu spinto con decisione in direzione della trazione elettrica, alla quale si assegnavano nuove potenzialità anche in termini di velocità.
Il portabandiera della velocità ferroviaria italiana fu l’elettromotrice elettrica Etr 200, i cui primi sei esemplari vennero costruiti nel 1936. Raggiungevano i 160 km/h e vennero usati all’inizio specialmente lungo le Direttissime appena aperte, dove in prova toccarono i 203 km/h. Il nuovo elettrotreno rappresentò la vetta tecnologica e il vanto legittimo dei tecnici italiani del tempo. Si trattava, infatti, di un prodotto molto avanzato, uscito dall’Ufficio studi del servizio Materiale e trazione delle Ferrovie dello Stato e realizzato dalla Breda. L’introduzione sul carrello motore degli ammortizzatori e la grande flessibilità della sospensione secondaria, insieme con il passo lungo e la trasmissione ad assi cavi, furono uno dei motivi del successo conseguito. Il primo elettrotreno italiano era composto di tre vetture: due vennero riservate ai viaggiatori, mentre nella terza erano concentrati tutti i servizi ausiliari, dal bagagliaio al postale, alla cucina e agli armadi.
Il 6 dicembre 1937 un elettrotreno Etr 200 in occasione di una corsa dimostrativa toccò la massima velocità di 201 km/h sulla Roma-Napoli; due anni dopo, il 20 luglio 1939, sul percorso Firenze-Milano, lo stesso treno ottenne il primato mondiale di velocità commerciale ferroviaria: i 316 km che separano le due città vennero infatti coperti in 115 minuti a una velocità di 165 km/h di media. In particolare, furono necessari solo 38 minuti per coprire il tratto fra Firenze e Bologna a una velocità media di 154 km/h; e 77 minuti fra Bologna e Milano a una velocità media di 171 km/h con una punta massima di 203 km/h. Il record mondiale di velocità – ineguagliabile all’epoca da qualsiasi veicolo a motore – ebbe un’eco vastissima in tutto il mondo.
L’altro grande successo della progettazione ferroviaria italiana fu la Littorina, un’automotrice leggera realizzata nel 1932 dalla Fiat che, oltre a ottenere immediatamente un successo strepitoso, offre ancora oggi una delle immagini più classiche dell’Italia autarchica. Le nuove automotrici, che disponevano di 48 posti a sedere imbottiti in un unico grande ambiente, raggiungevano i 115 km/h, rivoluzionando il servizio sulle linee secondarie.
I ‘treni popolari’
All’inizio degli anni Trenta, sia per effetto della crisi economica mondiale, sia per la crescente concorrenza delle automobili, le Ferrovie dello Stato registrarono un forte calo nel traffico viaggiatori; parallelamente si verificò un altrettanto intenso calo negli arrivi dei turisti stranieri. Fu in questo quadro che, nella primavera del 1931, il ministero delle Comunicazioni intraprese una politica improntata alla concessione di speciali sconti per particolari destinazioni turistiche. Fu proprio l’orientamento del regime teso a garantirsi un ampio consenso che diede luogo all’istituzione di convogli ‘a prezzo ridottissimo’, come venivano chiamati.
Nell’agosto del 1931 vennero così inaugurati i primi ‘treni popolari’, straordinari di sola terza classe, con sconto fino all’80% sulla tariffa ordinaria, destinati a raggiungere località climatiche, balneari o di interesse storico e artistico. Consentirono in Italia la prima affermazione del turismo di massa, permettendo a migliaia di persone di raggiungere le località di villeggiatura e di salire su un treno per la prima volta. Riguardarono però una parte limitata della popolazione, quella che viveva nelle grandi città e lavorava nelle fabbriche e negli uffici>>.
Vanno aggiunte le opere ferroviarie compiute nei territori africani dell’impero italiano
Quanto sopra riportato confermano il pensiero di Margherita Hack.
Signor Filippi, anche in questo caso i risibili luoghi comuni vengono superati dai fatti, dalle fonti documentali, che Lei evidentemente se pur elementari e di facile reperibilità non conosce, alle quali preferisce sopperire con il suo personale miope pregiudizio ideologico.
Ma a proposito di fonti, gli saranno certamente sfuggiti i provvedimenti in campo sociale, culturale, agrario, infrastrutturale che in 20 anni di governo la dottrina Fascista ha attuato.
Quel che segue è un elenco “frammentario ed incompleto, ma significativo, di alcune leggi, riforme ed opere che furono realizzate dal Fascismo e che cambiarono il volto della società italiana.
Quelli riportati più avanti sono provvedimenti concepiti e attuati dal Regime fascista. Prima del suo avvento di questi provvedimenti o erano appena abbozzati o, comunque mai trasformati in leggi, oppure addirittura inesistenti non solo in Italia, ma anche in Europa e negli altri continenti. In altre parole, per essere più chiaro, l’Italia fascista in campo sociale, e non solo sociale, fu all’avanguardia nel mondo, pronta a fornire, una volta ancora, al mondo intero, un nuovo RINASCIMENTO, IL RINASCIMENTO DEL LAVORO.
“Tutela lavoro Donne e Fanciulli”, legge promulgata il 26.4.1923, Regio Decreto n° 653: <E’ una delle prime leggi sociali del Fascismo: nasce solo sei mesi dopo la Marcia su Roma del 22 Ottobre 1922, ed è chiaramente indicatrice di quella che sarà la politica sociale degli anni futuri del regime. Negli anni e nei secoli precedenti né la Chiesa, né la borghesia, né i socialisti ed i sindacati erano riusciti a migliorare ed a rendere umana la condizione delle donne e dei fanciulli, che erano costretti a lavorare nelle fabbriche, nelle miniere o come braccianti nelle campagne>.
“Assistenza ospedaliera per i poveri”, legge promulgata il 30.12.23, Regio Decreto n° 2841.
<Questa legge trasforma in diritto alle cure gratuite la discrezionalità caritatevole di associazioni benefiche, per lo più religiose, che fino ad allora aveva condizionato la vita o la morte delle persone che non disponevano di mezzi propri per accedere alle cure ospedaliere>.
“Assicurazione Invalidità e Vecchiaia”. Legge promulgata il 30.12.1923, Regio Decreto n° 3184.
<La legge decreta il diritto alla pensione d’invalidità e vecchiaia tramite un’assicurazione obbligatorie, al cui pagamento concorrono sia i lavoratori che i datori di lavoro. Il lavoro, componente fondamentale del nuovo Stato fascista, è un dovere (altro che “diritto”, come si ciancia oggi) per ogni cittadino, ma che lo riscatta da quella posizione di servitù in cui lo Stato liberale aveva messo il lavoratore, per trarlo in una posizione di libertà e di dignità che lo investe in quanto uomo, e non solo in quanto lavoratore, e per questo gli assicura la certezza del sostentamento alla fine di una carriera di lavoro>. Prima del fascismo erano facoltative e solo in alcuni e rari casi.
“Riforma della Scuola (Gentile)”. R.D.L. n° 1054 del 6.5.1923.
<La volontà di modernizzazione, che fin dalle origini pervade il movimento fascista, spinge il nuovo governo a progettare la creazione di una numerosa e preparata classe dirigente, in grado di sostenere un vasto disegno di sviluppo nazionale: obiettivo, questo, non realizzabile senza una scuola moderna, razionale, dinamica, produttiva ed accessibile a tutti>.
“Riduzione dell’orario di lavoro a 8 ore giornaliere”, R.D.L. n° 1955 del 10.9.1923
<Prima del Fascismo quasi tutto era lasciato all’arbitrio del datore di lavoro, che spesso, con il ricatto psicologico della disoccupazione, costringeva i lavoratori a orari massacranti e in ambienti di lavoro malsani e insicuri>.
E’ facilmente comprensibile come questa serie di leggi sociali, se da un lato proteggevano i lavoratori dallo sfruttamento, dall’altra danneggiavano gli industriali, il grande capitale, gli speculatori: e questi divennero gli oppositori del regime. Tuttavia il cammino intrapreso dal Fascismo non si fermerà sino a quando le potenze plutocratiche mondiali non si coalizzeranno per abbattere un regime che stava diventando, per esse, pericoloso.
“ Reale Accademia d’Italia”, RDL n° 87 del 7.1.1926.
<Nel quadro del progetto di risollevazione della Nazione da quello spirito di rassegnata sudditanza e di provincialismo culturali che avevano contraddistinto secoli di storia prima e dopo l’unità, fu fondata l’”Accademia d’Italia” allo scopo di dare lustro e dignità all’ingegno e all’arte italiane>. L’Accademia venne poi soppressa, con Decreto Luogotenenziale del 28.9.1944, solo perché era una creazione del Fascismo. <Dopo la sconfitta e con l’avvento della Repubblica resistenziale, rifiorirono il servilismo e il provincialismo: l’Italia borghese, clericale e anticomunista volle essere colonia culturale, politica ed economica degli USA, mentre la sinistra comunista avrebbe voluto un’Italia satellite dell’URSS>.
“Bonifiche dell’Agro Pontino, dell’Emilia, della Bassa Padana, di Coltano, della Maremma Toscana, del Sele, della Sardegna ed eliminazione del latifondo siciliano”. RDL 3256 del 20.12.1923.
<Nel 1923, solo un anno dopo la Rivoluzione fascista, Benito Mussolini amplia i poteri dell’ONC (Opera Nazionale Combattenti) e le affida il compito tecnico amministrativo di realizzare la bonifica dell’Agro Pontino, che non sarà un mero risanamento idraulico dei terreni, ma una vera e propria ricostruzione ambientale, secondo il piano di Arrigo Serpieri, Sottosegretario alla bonifica (…). Oltre alle dimensioni dell’opera di bonifica, che non ha avuto eguali in Italia in tutta la sua storia, è da sottolineare il rivoluzionario concetto che la ispira e che va sotto il nome di “Bonifica integrale”, sottolineato e riportato nell’intestazione delle leggi che vi si riferiscono>.
Il progetto prevedeva una serie di interventi che andavano dalla sistemazione e dal rimboschimento dei bacini ai lavori di sistemazione degli alvei dei corsi d’acqua, alla trasformazione colturale e alle utilizzazioni industriali, sempre secondo una coordinata e armonica pianificazione del territorio. Dal suolo bonificato sorgono irrigazioni, si costruiscono strade, acquedotti, reti elettriche, opere edilizie, borghi rurali e ogni genere di infrastrutture. Dalle Paludi Pontine sorsero “in tempi fascisti” vere e proprie città: Littoria, inaugurata l’8 dicembre 1932; Sabaudia (indicata da tecnici stranieri come uno dei più raffinati esempi di urbanistica razionale), il 15 aprile 1934; Pontinia, il 18 dicembre 1935; Aprilia, il 29 ottobre 1938; Pomezia, il 29 ottobre 1939. Nell’Agro Pontino furono costruite ben 3040 case coloniche, 499 chilometri di strade, 205 chilometri di canali, 15.000 chilometri di scoline. La “Bonifica integrale” continuò nell’alto Lazio, in Campania, in Sardegna, in Sicilia e così via in tutta Italia, ma non solo in Italia: non si possono dimenticare le grandi opere realizzate in Somalia, in Eritrea, in Libia, in Etiopia. Tutto questo, come si è detto, “in tempi fascisti” e senza alcuna ombra di “democratiche tangenti o mazzette”. La risposta a queste opere colossali proveniente dagli uomini dei “diritti e della libertà” è stata (e non sto scherzando) che le bonifiche integrali furono “un danno ecologico“. Oppure, come ha scritto Piero Palumbo (“L’Economia italiana fra le due guerre”, pag. 84: <Duole (!) ricordarlo: i primi ecologisti indossavano l’orbace>!!!!.
“Opera Nazionale Maternità e Infanzia”, RD n° 718 del 15.4.1926.
<Nella nuova società la cura e l’importanza delle donne e dei fanciulli, implicita nella dottrina fascista, assume l’importanza di istituzione mediante la fondazione dell’”Opera Nazionale Maternità e Infanzia”. L’ONMI vuole dare e darà un concreto supporto a quella fondamentale cellula umana e sociale che è la famiglia, intesa non quale generatrice di forza di lavoro e di consumo, come è nella concezione materialistica del capitalismo e del marxismo, ma quale culla e nucleo vitale delle tradizioni, della storia e del futuro della Nazione e dello Stato. Centro vitale della famiglia è, per il Regime fascista, la madre (…)>.
Con questa legge lo Stato si fece carico dell’assistenza e dell’aiuto alle madri, volgendo particolare attenzione alle cure per le madri-lavoratrici. Questa legge, anticipatrice dei tempi è, quindi, una delle innovazioni più prestigiose del regime fascista. Furono istituite in ogni provincia le “Case della madre e del bambino”, gli asili nido, i dispensari del latte: tutte organizzazioni che giunsero ad accogliere circa 2 milioni di assistiti. Tutto questo era integrato da una assistenza medica e da una propaganda igienica. L’”Ente Opera Assistenza” curava la gestione delle Colonie estive e invernali, istituite per assistere soprattutto i bambini di famiglie meno abbienti. Gestiva, inoltre, speciali scuole e Colonie per la terapia dei colpiti dalla tbc”, i convalescenziari e centri per la cura dell’anemia mediterranea.
“Assistenza agli illegittimi, abbandonati o esposti”, legge dell’8.5.1927, RDL n° 798.
<Con questa legge lo Stato si assume la responsabilità di provvedere a quei bambini non desiderati che erano prima senza tutela ed alla mercé della carità privata e quindi considerati persone di seconda categoria>.
Oggi, in “regime democratico”, molti fanciulli vengono abbandonati ai pedofili e alla droga. Le donne reclamano la libertà sessuale e il “diritto all’aborto”, sanzionato e garantito addirittura dallo Stato. E quando lo Stato non interviene il povero lattante è abbandonato come immondizia, in un cassonetto. D’altra parte, come disse Luciano Violante, “Questo è lo Stato dei diritti e della libertà”.
“La Carta del Lavoro”, Pubblicazione sulla “Gazzetta Ufficiale” n° 100 del 30.4.1927.
<Puntualizza il rapporto fondamentale tra Fascismo e mondo del lavoro. Dichiara, istituzionandoli, i principi basilari a tutela dei lavoratori, nonché la preminenza, nello Stato Fascista, dell’interesse prioritario che lega gli obiettivi dello Stato a quelli del lavoro e dei lavoratori>. La “Carta del Lavoro” intendeva portare a confronto, su uno stato di parità, secondo un progetto di collaborazione e solidarietà che superasse la rovinosa filosofia materialistica della lotta di classe, due tradizionali antagonisti sociali: il capitalismo e il lavoro. Sarebbe troppo lungo elencare tutti i vantaggi per i lavoratori previsti in questa legge rivoluzionaria. Ne elenco solo alcuni: obbligatorietà della stipula di Contratti collettivi di categoria; istituzione della Magistratura del Lavoro; diritto alle ferie annuali; istituzione della indennità di fine rapporto; istituzione degli uffici di collocamento statali; assicurazione sugli infortuni sul lavoro; assicurazione per la maternità; assicurazione contro le malattie professionali; assicurazione contro la disoccupazione; Casse mutue per le malattie eccetera.
“Esenzioni tributarie per le famiglie numerose” RDL n° 1312 del 14.1.1928 e
“Assegni familiari” RDL n° 1048 del 17.6.1937.
<In coerenza con la dichiarata importanza che il Fascismo attribuiva alla famiglia come cellula fondamentale della società, era importantissimo sgravare dalle spese fiscali quelle famiglie che già avevano impegni finanziari onerosi a causa dell’elevato numero dei componenti>.
Grazie a queste leggi lo Stato riconosceva agli operai che si sposavano entro il venticinquesimo anno un assegno nuziale di 700 lire. Inoltre, se i coniugi guadagnavano meno di 1.000 lire lorde al mese, veniva loro concesso un prestito senza interessi compreso tra le 1.000 e le 3.000 lire. Alla nascita del primo figlio, il prestito si riduceva automaticamente del 10%; così, gradualmente, sino alla nascita del quarto figlio, il prestito veniva condonato. Il capofamiglia con prole numerosa (sette figli) godeva di privilegi particolari: Mussolini inviava, o consegnava personalmente, 5.000 lire, oltre una polizza di assicurazione. Una tessera gratuita valida per tutti i mezzi pubblici cittadini giungeva al capofamiglia tramite la locale sezione della Federazione fascista. Altri privilegi per queste famiglie numerose erano: la possibilità di contrarre prestiti a tasso bassissimo, sconti nell’affitto degli appartamenti, assegni familiari ragguardevoli. E ancora: per gli operai con un figlio, lire 3,60 la settimana; lire 4,80 per quelli con due o tre figli; 6 lire per quelli con quattro figli e oltre.
“Legge sull’assicurazione obbligatoria contro le malattie professionali e legge istitutiva dell’INAIL”, RD. n° 928 del 13.5.1929 e RD. n°264 del 23.3.1933, “Legge istitutiva dell’INPS (Istituto Nazionale Previdenza Sociale)”, RDL n° 1827 del 4.10 1935.
<Nel quadro della ristrutturazione del mondo del lavoro e nei rapporti tra i lavoratori e lo Stato, queste due leggi risolvono l’annoso problema delle conseguenze negative che situazioni accidentali potevano procurare a chi lavorava in particolari settori>.
Il Regime fascista nel suo “programma politico e sociale per l’ammodernamento e l’industrializzazione del Paese”, come osservato anche da James Gregor, non poteva eludere una globale politica previdenziale. La competenza dell’INPS andava dall’invalidità e vecchiaia alla disoccupazione, dalla maternità alle malattie. Altre assicurazioni coprivano, praticamente, la totalità dei prestatori d’opera, garantendo così all’Italia un altro primato mondiale. Sulla scia dell’INPS sorsero, sempre negli anni ’30, l’INAM, l’EMPAS, l’INADEL, l’ENPDEP, tutti enti che permetteranno poi, anche se fra scandali, ruberie e arroccamenti di potere politico, all’Italia post-fascista di tutelare i lavoratori.
“Istituzione del Libretto di Lavoro”.
<Proseguendo nel perfezionamento delle norme a tutela dei lavoratori, per contrastare fenomeni come il lavoro nero, lo sfruttamento illecito di categorie deboli come donne e fanciulli, gli abusi sull’orario di lavoro e l’evasione dei contributi lavorativi e previdenziali e per far sì che, in generale, fossero rispettate tutte le leggi emanate a difesa del mondo del lavoro, viene istituito il Libretto di Lavoro>.
“Riduzione dell’orario di lavoro a quaranta ore settimanali” RD. n°1768 del 29.5.1937.
<Non appena le condizioni generali dell’economia e dell’industria italiane lo permettono, il Fascismo continua la marcia intrapresa sin dal 1923 in direzione della riforma globale del mondo del lavoro, investendo parte del vantaggio economico nella ulteriore diminuzione dell’orario di lavoro e sottolineando il principio che il lavoro e il profitto debbono essere strumenti e non fini della società>.
Questa legge (poi meglio conosciuta come “sabato fascista) era già prevista nel programma fascista del 1919 e si inserisce con naturalezza nell’obiettivo di forgiare lo “Stato del Lavoro” nel quale la figura del lavoratore si trasforma sempre più da salariato in protagonista e compartecipe dell’impresa.
“Legge istitutiva dell’ECA (Ente Comunale di Assistenza). RDL n° 847 del 19.6.1937.
<Viene istituito, in ogni comune del Regno, l’”Ente Comunale di Assistenza”, allo scopo di assistere individui e famiglie in stato di necessità e di controllare e coordinare tutte le altre associazioni esistenti che abbiano analogo fine>.
“Acquedotto Pugliese, del Monferrato, del Perugino, del Nisseno e del Velletrano”.
Valga per tutti quanto detto per l’Acquedotto Pugliese, ricordando che questo è il più grande acquedotto del mondo: <I primi progetti risalgono al 1904, quando l’Ente Autonomo Acquedotti Pugliesi ne affidò l’esecuzione alla società ligure del senatore Mambrini. I lavori avrebbero dovuto essere terminati nel 1920, ma nel 1919 solo 56 Comuni su 260 avevano avuto l’acqua, mentre le opere intraprese erano spesso abbandonate, incomplete e deperivano. Nel 1923, sotto il governo Mussolini, l’Ente fu commissariato e passò alla gestione straordinaria; improvvisamente i lavori vennero accelerati, furono superate tutte le difficoltà che sino ad allora li avevano bloccati e furono portati a termine nel 1939>.
“Opera Nazionale Dopolavoro”
Quasi in parallelo a ciò che per i giovani era la GIL, nasce per i lavoratori l’OND. Questo organismo ha il compito di portare cultura e svago tra la classe operaia, che nel passato era stata costretta ad una vita esclusivamente di lavoro, di sacrifici e d’ignoranza>.
Le strutture dell’Opera raggiunsero, in poco meno di un decennio, un livello unico al mondo. Alcune cifre significative: 1227 teatri, 771 cinema, 40 cine-mobili, 6427 biblioteche, 994 scuole di ballo e canto, uno stabilimento idrotermale, 11.159 sezioni sportive a livello dilettantistico con 1.400.000 iscritti, 2700 filodrammatiche con 32.000 iscritti, 3787 bande musicali e 2130 orchestre con 130 mila musicisti, 10 mila associazioni culturali. Con l’avvento delle “40 ore lavorative settimanali” i lavoratori e le loro famiglie possono viaggiare sui cosiddetti “treni popolari”, il costo del biglietto è ridotto del 70%. A guerra finita le strutture dell’OND confluiranno nella “Case del popolo” di matrice comunista e il PCI farà propri i principi ispiratori dell’OND facendoli passare (furbescamente) come proprie iniziative.
Per il signor Filippi, ovviamente corrisponde ad una bufala la legalità che garantiva il governo monarchico fascista. Egli asserisce: “Sappiamo invece che dilagava la corruzione a tutti i livelli”.
Ovviamente nessuna aggregazione sociale è esente da corruzione, ma Mussolini che non era uno sprovveduto lo sapeva bene e non stette a guardare.
Il Gran Consiglio il 6 gennaio del 1927, bloccò le iscrizioni al partito fascista a causa di elementi disonesti e violenti. <<vi sono dei residui che devono sparire. Parlo dello squadrismo che nel 1927 è semplicemente anacronistico, sporadico, ma che tutta via ricompare nei momenti di pubblica eccitazione. Così l’illegalismo deve finire. Non solo quello che esplode nelle piccole prepotenze locali, che danneggiano anche esse il regime e seminano inutili, non che pericolosi rancori, ma anche l’altro, che si sferra dopo gravi avvenimenti. Similmente all’azione di controllo, il prefetto fascista deve procedere alle epurazioni che si rendano necessarie nella burocrazia minore e indicare al partito gli elementi nocivi. Il prefetto fascista deve imporre che siano allontanati e banditi da qualunque organizzazione o forza del regime tutti gli affaristi, i profittatori, gli esibizionisti, i venditori di fumo, i pusillamini, i vanesi, i seminatori di pettegolezzi e di discordie, e tutti coloro che vivono senza una chiara e pubblica attività>> -Benito Mussolini circolare ai prefetti del 6 gennaio 1927, “il popolo d’Italia”, 6 gennaio 1927 in Opera Omnia, XXII,p.467
Dal 30 ottobre 1932 in poi nuovamente accolte ed esaminate con grande scrupolo, le domande di ammissione al partito fascista che comunque, non contò mai sull’adesione della totalità dei lavoratori italiani. Tra il 1941 – 1942 risultano tesserati al partito fascista 4.017.640 a fronte di 20 milioni di lavoratori italiani occupati, risulta evidente che la scelta non poteva ricadere solo su coloro che appartenevano al partito fascista.
“L’unico tentativo serio di lotta alla mafia fu quello del prefetto Mori, durante il Fascismo, mentre dopo, lo Stato ha sminuito, sottovalutato o semplicemente colluso. Sfidiamo gli antifascisti a negare che la mafia ritornò trionfante in Sicilia ed in Italia al seguito degli “Alleati” e degli antifascisti, in ricompensa dell’aiuto concreto che essa fornì per lo sbarco e la conquista dell’isola!” – Giovanni Falcone; il martire magistrato parla del linguaggio e dei segni usati dai mafiosi, dei riti per accedere all’organizzazione, che guarda caso, sono gli stessi che si usano in Massoneria. Difatti, pochi lo sanno, ma tutti i capi mafia, devono essere massoni. Neanche a dirlo il governo monarchico fascista mise fuorilegge la massoneria.
Il comunismo giunse al potere delle nazioni senza alcuna elezione, con la violenza, sopraffazione ed assassini mirati e di massa, il partito fascista giunse al governo con regolari elezioni, elezioni del parlamento che continuarono per tutto il periodo fascista. Nel 1928 fu varata la legge che sostituì, nella composizione della Camera dei deputati, gli uomini appartenenti ai partiti politici con coloro che provenivano dal mondo del lavoro. Le Confederazioni nazionali selezionavano, con regolari votazioni, ottocento produttori, mentre altri 200 venivano, con un identico sistema, scelti da numerosi altri enti, per un totale di 1000. Questi nominativi venivano inviati al Gran Consiglio del fascismo il quale ne individuava 400 e ne faceva una lista da sottoporre all’approvazione degli elettori: se questa veniva accettata, quei produttori sarebbero divenuti membri della Camera dei Deputati. Così si verificò sia per la tornata elettorale del 1929 che per quella del 1934. Nel 1939, infine la Camera dei deputati fu sostituita dalla Camera dei Fasci e delle Corporazioni che risultò formata da 664 Consiglieri, di cui 500 provenienti dalle Corporazioni e 164 dal partito fascista.
La Camera del Senato era composta da senatori eletti esclusivamente dal Re.
Prima del governo monarchico fascista, le elezioni si possono tranquillamente definire una farsa, infatti
nel 1861 aveva diritto al voto il 2% della popolazione, legge n.3778 del 1859; Nel 1882 la legge numero 999, da diritto al voto al 6,9% degli italiani; Nel 1912 la legge n.666 da diritto al voto al 9,4% degli italiani; Nel 1919 la legge n. 1495 da diritto al voto al 34% degli italiani.
Per quanto riguarda il presunto razzismo del governo fascista, parlano i fatti. Il 14 ottobre nel 1935 viene abolita la schiavitù nelle terre dell’impero d’Africa a firma di De Bono. Schiavitù che vigeva in tutte le colonie dei paesi liberal – democratici. Prima di argomentare -sinteticamente- sulle leggi razziali del 1938 riporto a tal riguardo il pensiero di Degasperi. Alcuni articoli pubblicati in gioventù sul quotidiano "Trentino" mostrano vicinanza alle posizioni di Karl Lueger (il borgomastro di Vienna, cristiano-sociale e anti - giudeo). Ad esempio, si legge: «Noi non siamo contro gli ebrei perché d'altra religione e d'altra razza ma dobbiamo opporci ch'essi coi loro denari mettano il giogo degli schiavi sui cristiani» (1906). Trent'anni dopo, nella rubrica sull' "Illustrazione Vaticana", mancano invece parole di condanna contro l'esproprio dei beni degli ebrei austriaci.
Anche le teorie fasciste in materia di razza sono discusse ma accolte con favore. Nello scritto 1 (uno), Degasperi registra il miglioramento delle condizioni economiche dell'Austria in seguito all'esproprio dei beni degli ebrei. Nel testo si dice che «La liquidazione delle fortune ebraiche allarga le prospettive degli affari per gli altri e i posti di avvocati e di medici rimasti vacanti aprono uno sfogo alle carriere». La rubrica è del luglio 1938. Nello scritto 2(secondo) (agosto 1938), che precede di poco l'emanazione delle leggi razziali, Degasperi prova a sganciare le teorie fasciste dal nazismo. E propone di rifarsi all'elemento universalista del fascismo che «può nutrirsi delle vive tradizioni della Roma cristiana». Degasperi auspica che «il razzismo italiano si attui in provvedimenti concreti di difesa e di valorizzazione della nazione». Nello scritto 3(terzo) datato marzo 1938, Degasperi ripercorre la parabola culturale e politica del partito cristiano-sociale austriaco, guidato da Karl Lueger. Degasperi ne coglie gli aspetti positivi, minimizzandone l'antisemitismo (era "solo" una «politica necessaria di difesa economica»). Il quarto documento, datato maggio 1938, commenta le misure del governo ungherese per arginare l'antisemitismo. Tuttavia Degasperi fa notare come gli ebrei siano preponderanti nei ruoli chiave dell'economia. Comprensibile quindi gli Ebrei «possono esercitare una professione solo fino a una data percentuale». L'ultimo estratto, datato maggio 1938, riporta un comunicato degli ebrei ortodossi che si vogliono distinguere dagli «ebrei inseriti nel comunismo». E qui si coglie una nota diversa: «Questa tendenza degli ebrei ortodossi di separare la propria responsabilità da quella degli ebrei inseriti nel comunismo è caratteristica per il momento che attraversiamo». Suona come un duro giudizio sul presente che costringe gli ebrei a lotte intestine per scampare alla persecuzione.
Le leggi razziali del 1938 vanno contestualizzate al periodo e non giudicate -lo storico racconta, non giudica- pur non di meno le leggi razziali, discriminavano e non perseguitavano, per altro gli articoli che seguivano i primi della legge razziale, nella sostanza andavano ad inficiare l’intento apparente della legge stessa, aspetto che non era sfuggita, a tal punto che Giovanni Preziosi scrisse su “la vita italiana” del settembre del 1941:<< le nostre leggi razziali furono -dietro le quinte- preparate dai giudei>>; sempre Preziosi malignamente avanzò addirittura l’ipotesi che il ben volere di Mussolini verso gli ebrei trovasse giustificazione nelle origini ebraiche del Duce. Preziosi sfogliando vecchie carte dell’ambiente veneziano del ‘700, incontrò un certo Giovanbattista Menuzzi che denunciava agli inquisitori un tal “Maisè Mussolin, ebreo”. Durante il processo Eichmann il pubblico accusatore Ghidean Hausner ebbe l’infelice idea di accennare <<al passivo atteggiamento degli italiani di fronte ai provvedimenti razziali>>. Per uno spontaneo moto di riconoscenza, il giorno seguente centinaia di israeliti si presentarono per essere sentiti come testimoni. Fu impossibile ascoltarli tutti; solo una sessantina poterono testimoniare e questi, difronte ai Giudici affermarono che almeno 60mila ebrei francesi, croati, polacchi, greci, ungheresi, tedeschi, dovettero la vita agli italiani.
Le leggi razziali di fatto furono un provvedimento che diedero la possibilità di proteggere gli ebrei, che anche dopo il 1938 fuggivano in Italia, rifiutati da America, Inghilterra, Francia, Svizzera. Furono diverse le navi con a bordo ebrei in fuga alle quali fu negato l’attracco nei porti inglesi e statunitensi. Fino all’8 settembre del 1943 nessuno ebreo lasciò l’Italia, cosa che non accadde con il governo Badoglio. Nelle zone sotto il controllo italiano tutti gli ebrei italiani e non, furono protetti.
In quanto a razzismo inteso come supremazia di uomini verso atri, negli Stati Uniti d’America fino agli anni sessanta vi erano leggi che disciplinavano i “Bianchi e i Neri”. Malcom X, Martin Luther King per cosa rivendicarono? Gli americani durante il conflitto mondiale internarono in campi di concentramento, americani etnicamente d’origine nipponica. Gli Inglesi non erano da meno agli americani, Gandhi ne è un riassunto esaustivo del razzismo inglese. I francesi fino agli anni ’30 allestivano zoo umani permanenti -il più famoso quello di Parigi- con uomini neri (lo stesso vale per il Belgio). La Francia nelle colonie africane praticava schiavitù così come testimoniato da Thomas Sankara. Ed ancor oggi lo sfruttamento continua con la moneta/ franco imposta in 14 ex (solo di dato) colonie francesi. In unione sovietica, le deportazioni di ebrei erano la normlità, così come raccontato da Francois Fajto. Sempre i sovietici sterminarono i Russi di origine italiana, la comunità del bel Paese di Kerch (Crimea) decimata a causa delle deportazioni in Kazakistan. Fu attuata una violentissima repressione e persecuzione religiosa contro i cristiani; le chiese vennero distrutte e quelle che non furono abbattute furono utilizzate come magazzini. Odio e discriminazione religiosa sistematica.
18 luglio 2018: Israele è ufficialmente lo "Stato del popolo ebraico". Lo dice la legge approvata oggi dalla Knesset.
In conclusione lo “storico della Valsugana”, mutua il pensiero di Karl Popper: <la democrazia non può essere così democratica da accettare idee antidemocratiche>, il che la dice lunga, in quanto è lo stesso pensiero manifestato in più occasioni da Mario Monti. Piuttosto che servirsi di citazioni e pensieri dispensati da dotti filosofi moderni, quando si cercano plausibili e sensati interpretazione sulla democrazia, sarebbe più proficuo riferirsi ai pilastri della filosofia, Socrate, Platone, Aristotele!
Quando argomentate contro il fascismo abbiate il coraggio di svelare il vostro vero intendo, ovvero manifestare il disprezzo verso le società, le civiltà a cui faceva riferimento il Duce: Grecia e Roma.
Il governo monarchico fascista costruii un ponte immaginario per poggiare e dare continuità alle esperienze storiche del passato strettamente legate ad una visione del mondo tradizionale, medioevo, romanità, con l’intento di superare il fiume delle epoche delle rivoluzioni, periodo che diede origine alle sanguinose forme di governo moderne, per l’appunto il socialismo/comunismo/anarchia e capitalismo.
Il fascismo volgeva il suo sguardo al concetto di duello con piglio nobile, virile, giusto così come tramandato dai riferimenti oplitici del passato indeuropeo e dalla cavalleria medievale. << In origine come vediamo nei poemi omerici, l’uomo aristocratico è dedito in primo luogo all’attività militare: è la guerra che fa risaltare le doti fisiche e morali che ogni uomo “bennato” deve possedere, è la guerra che davvero esalta e giustifica la superiorità degli aristocratici sul resto della comunità (Storia greca, pag. 153 – M.Bettalli, A. D’Agata, A.Magnetto – Carocci editore) >>; <<Chanson de Roland: I valori che caratterizzano la Chanson de Roland sono: la fedeltà al proprio signore, la fede cristiana, l'onore, da tutelare a ogni costo e con ogni mezzo; l'eroismo in battaglia. Alla celebrazione delle virtù militari nella dimensione del martirio cristiano – il cavaliere che muore in battaglia è equiparato al santo che rinuncia alla propria vita per la fede>>.
Vale quanto ripetutamente scritto: qualsiasi confronto fra questi regimi massonici e quello precedente risulterebbe insostenibile; questo è il vero motivo per il quale si è coniato il termine “Fascismo: male assoluto” e sono nati i tanti dottor Filippi.
Emilio Giuliana