Oggi più che mai, con l’avanzare della crisi economica e il conseguente impoverimento degli italiani, per tornare a condizione economiche dignitose si fa sempre più strada l’idea, che la soluzione al problema è il ritorno alla moneta lira dalla moneta euro. In parte, la maggioranza delle persone, ha percepito che la capitolazione economica è determinata dall’utilizzo che se ne fa della carta moneta, però i più non hanno compreso il meccanismo che disciplina e regolamentazione il conio e la stampa dei “soldi”. I soldi vengono creati da Banche private, oggi l’Euro dalla BCE, ieri la Lira dalla Banca d’Italia privata. Questo è l’inghippo, l’anomalia monetaria, non se europea o nazionale, no se Euro o Lira, ma le Banche private. Dunque è necessario, che sia essa la Lira o l’Euro, che siano Banche dello Stato a stampare soldi, così come sotto spiegato.
Dopo l’unità d’Italia, nel 1863 la lira carta non poté più essere cambiata in oro. Oltre ai conseguenti danni per il risparmio di tutte le popolazioni della penisola, da qui incominciò a nascere il «Debito Pubblico»: lo Stato, in pratica, per finanziarsi iniziò a chiedere carta moneta ad una banca privata (qual è la Banca d'Italia). Lo Stato, quindi, a causa del «genio» di Cavour e soci, cedette da allora la sua sovranità in campo monetario affidandola a dei privati, che non ne hanno alcun titolo (la sovranità per sua natura non è cedibile perché è del popolo e dello Stato che lo rappresenta). Settant’anni più tardi si cercò di porre rimedio alle scelte bancarie capestro operate dagli statisti risorgimentali. Nel gennaio del 1933, un regio decreto creò l’Istituto di Ricostruzione Industriale (IRI), con Beneduce alla presidenza e direttore generale Donato Menichella (1896-1984, ex-Bankitalia). Il 13 aprile 1934, le tre grandi banche trasferirono all’IRI l’intero loro patrimonio di partecipazioni industriali. L’IRI si trovò così a detenere il controllo del 94% di Comit e del Banco di Roma, nonché del 78% di Credito Italiano . In cambio dello sgravio dell’immane massa di crediti irrealizzabili – i titoli tossici di allora – i banchieri privati dovettero impegnarsi per iscritto a fare «investimenti di pronta liquidità, escluso ogni immobilizzo di carattere industriale, anche sotto forma di partecipazioni azionarie». Questa la disposizione della legge Glass-Steagal, finalizzata alla separazione del credito ordinario da quello della banca d’affari. I grandi privati si dimostrarono pronti a riprendersi le aziende “irizzate” risanate dalla gestione Beneduce-Menichella.
Nell’assegno in bianco – conosciuto come Armistizio Lungo – accettato, firmato il 29 settembre del 1943 dal maresciallo Badoglio per il Regno d’Italia, l’art. 33 è il più significativo, perché di fatto pretende l’abrogazione della sovranità monetaria. ”Il Governo italiano adempirà le istruzioni che le Nazioni Unite potranno impartire riguardo alla restituzione, consegna, servizi o pagamenti quale indennizzo (payments by reparation of war) e pagamento delle spese di occupazione”. Di conseguenza, nel 1945, persa la guerra, gli Americani richiesero l’abolizione dell’IRI e la sua privatizzazione, nell’intento di comprare le banche con i depositi trovati nelle banche stesse. La depredazione fu tuttavia rimandata a tempi migliori e a migliori “padri della patria”: Carlo A. Ciampi, Romano Prodi e Mario Draghi.
Nel 1981, il ministro del Tesoro, Nino Andreatta, firma un accordo con il governatore della Banca d’Italia, Carlo Azelio Ciampi, in base al quale si sancisce il diritto del nostro Istituto di Emissione a non sottoscrivere i titoli emessi dalla Stato italiano, obbligando il governo a darli in pasto al vorace mercato finanziario internazionale (in particolare Wall Street). Grazie a tale accordo la Banca d’Italia non può più essere il "prestatore di ultima istanza” dello Stato, cosicché il debito pubblico italiano dal 1981 è salito dal 57% del PIL all’attuale 134,8% (2018).
Nel 1993 entrava in vigore il Trattato di Maastricht per la costituenda Unione Europea, della quale l’Italia entrava a far parte, in osservanza dell’articolo 11 della nostra Costituzione del 1947 -in continuità con l’articolo 33 della Carta dell’Armistizio Lungo- , il quale, fra l’altro, così testualmente recita: “ L'Italia... consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”.
La legge Carli del febbraio 1998 (governo Prodi), ha conferito alla Banca d’Italia la facoltà di variare il tasso di sconto senza concordarlo prima col governo. Questo significa che il controllo dell’intera politica monetaria del nostro Paese è da allora affidato alle banche private, che detengono le quote di maggioranza del capitale della nostra Banca Centrale.
A onore del vero, un tentativo a “favore” dello Stato italiano fu tentato nel dicembre del 2005, il Parlamento italiano varava la legge n. 262 (Governo Berlusconi), che al punto 10 dell’articolo 19 disponeva che entro il gennaio 2009 avrebbero dovuto essere trasferite ad enti di Stato tutte le quote di partecipazione al capitale della Banca d’Italia possedute da soggetti privati. Questa legge è stata volontariamente ignorata dai governi, succedutisi dal 2005 fino ai nostri giorni alla guida del nostro Paese. Tale indiscutibile anomalia dimostra, ancora una volta, i limiti del potere legislativo attribuito al Parlamento e ne prova l’assoluta dipendenza dagli esecutivi di turno, negligenti a tal punto da non aver ritenuto doveroso disporre i previsti regolamenti di attuazione della legge.
Ciò detto, sarebbe il caso di chiedersi, se ì veri motivi di tutte le crisi economiche, che l’Italia o l’Europa dovettero affrontare dal dopoguerra in poi, sono stati sempre chiaramente dichiarati e pienamente manifestati ai contribuenti (visto che ad essi si chiedono i maggiori sacrifici per superarle), senza il ricorso ai soliti tecnicismi, che indicano l’origine della crisi nella mancata crescita della produzione economica. Siamo sicuri che i dati statistici riguardanti il PIL nazionale o la bilancia dei pagamenti riflettono sempre la reale situazione? Pochi osano affermare che le crisi sono spesso causate dalla cattiva gestione monetaria, affidata spesso all’arbitrio di banche internazionali private, naturalmente propense a richiedere ripetute emissioni di moneta per incrementare i flussi di liquidità, destinati a moltiplicare le possibilità di speculazione nei mercati finanziari. Il risultato in questi casi è sempre lo stesso: aumento dell’inflazione, perdita del potere d’acquisto della moneta, ulteriore indebitamento dello Stato, costretto ad adeguarsi alle regole del “sistema ”, cioè a emettere bonds (d’importo pari alla moneta messa in circolazione) che saranno negoziati nel mercato borsistico internazionale. Se da un lato questo crea facili opportunità di guadagno per i grandi investitori, dall’altro determina la perdita del potere d’acquisto dei salari. Quest’ultima a sua volta compromette le capacità di risparmio e, se accompagnata da una contrazione del credito, può creare situazioni insostenibili per i piccoli risparmiatori, indotti a vendere i titoli posseduti e a ritirare in massa i propri risparmi.
Le manovre, alle quali si è sopra accennato, messe a punto e perfettamente eseguite con la connivenza di eminenti politici italiani, sono tipiche del "sistema” (ideato e reso operante dalla Casta), che ha trovato nell’Italia del secondo dopoguerra infinite opportunità di applicazione, grazie anche all’autorità legittimante della Costituente, che, nel 1947, in tempi forse ancora non sospetti, decise per le limitazioni delle sovranità del nostro Paese, riferendosi quasi sicuramente e fin da allora alla prevista rinuncia, ad esercitare il fondamentale diritto di sovranità monetaria, riconosciuto allo Stato e ai cittadini italiani. Questo sistema è comunemente chiamato: usurocrazia
La prova di ciò sta nel fatto che, una volta, la gente lavorava per un profitto. Oggi lavora per pagare debiti.
Di fatto il politico è il “cameriere del banchiere”, il ché emerge dall'ovvia considerazione che, se si mettono a confronto il governatore della Banca centrale ed il Capo del governo, il primo può concedere o negare in prestito tutto il denaro che vuole, il secondo può solo chiederlo o non chiederlo, solo in prestito. E’ ovvio quindi che il secondo è il cameriere del primo, ma non perché abbia animo servile, ma perché le regole del gioco non consentono altrimenti.
In conclusione, la soluzione dei problemi posti sta nel rivendicare, a favore di ogni popolo, la proprietà della sua moneta.
La rivoluzione monetaria della Banca d'Inghilterra ha trasformato la moneta-proprietà del portatore (oro) in moneta nominale (debito del portatore e proprietà della banca).
La controrivoluzione deve trasformare la moneta-debito in moneta proprietà del portatore (non della banca), senza riserva (tome l'oro), con simbolo di costo nullo (come la carta).
Elenco degli azionisti di Bankitalia, BCE.
AZIONISTI BANKITALIA:– GRUPPO INTESA 27,2 %; – GRUPPO SAN PAOLO 17,23 %; – GRUPPO CAPITALIA 11,15 %; – GRUPPO UNICREDITO 10,97 %; – ASSICURAZIONI GENERALI 6,33 %; – INPS 5,0 % [da evidenziare questo = quanto CONTA lo Stato italiano nella banca centrale nazionale]; – BANCA CARIGE 3,96 %; – BNL 2,83 % (banca francese); – MONTE DEI PASCHI DI SIENA 2,50 %; – CASSA DI RISPARMIO DI FIRENZE 1,85 %; – RAS 1,33 %; – GRUPPO LA FONDIARIA 2,0 %; – GRUPPO PREMAFIN 2,0 %.
AZIONISTI DELLA BCE BANCA CENTRALE EUROPEA: -Banca Nazionale del Belgio (2,83%); -Banca centrale del Lussemburgo (0,17%); -Banca Nazionale della Danimarca (1,72%); -Banca d’Olanda (4,43%); -Banca Nazionale della Germania (23,40%); -Banca nazionale d’Austria (2,30%); -Banca della Grecia (2,16%); -Banca del Portogallo (2,01%); -Banca della Spagna (8,78%); -Banca di Finlandia (1,43%); -Banca della Francia (16,52%); -Banca Centrale di Svezia (2,66%); -Banca Centrale d’Irlanda (1,03%); -Banca d’Inghilterra (15,98%) (l'Inghilterra non è membro della UE, ciò nonostante è la banca che ha maggior voce in capitolo); -Bankitalia (14,57%).
«Datemi il controllo della moneta di una nazione e non mi importerà di chi scrive le sue leggi» Amschel Mayer Rothschild (1744 – 1812).