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Il recensore dell’articolo in esame (che non si firma) (https://www.ladige.it/cultura-e-spettacoli/2021/10/23/l-italia-che-dimentica-il-proprio-colonialismo-e-crede-alle-bufale-sulle-opere-costruite-per-gli-africani-1.3034149?fbclid=IwAR010LwcHdBYpNd-e5aPwyyKPATn55F-ysDYDQbQ_Ah5WWhEDxIHgfUG8SY), e l’intervistato, il laureato in storia Francesco Filippi, anti fascisti per caso, si sono ficcati in cul de sac,  denigrando in modo più ridicolo, comico e dilettantistico di Angelo Del Boca, il colonialismo italiano, “fenomeno” che  il governo fascista ha ereditato, come lascito di quelle forze massoniche liberal democratiche che hanno governo miseramente l’Italia e le colonie, prima della loro sconfitta elettorale, che li ha estromessi per venti anni dal servire logiche ed interessi internazionali privati, ed ingrossare i loro portafogli a scapito dell’Italia e degli italiani, identicamente come accade dal 25 aprile 1945.

Il “giornalista” anonimo con sarcasmo, riporta le recenti parole di Vittorio Sgarbi, il quale ha asserito che <<il fascismo ha fatto “anche” cose buone, ad esempio all’Asmara>>. Sgarbi, ha commesso un solo errore, aggiungere al suo pensiero,  l’avverbio di modo “anche”,  infatti il fascismo ha fatto cose buone, certamente perfettibile, ma ha fatto senz’altro cose buone, così come asserito da insospettabili personaggi di rilievo nazionale e mondiale; in tal senso l’ebrea  comunista Margherita Hack: “Quello che ha ottenuto il fascismo in campo sociale oggi ce lo sogniamo. Non si trattava solo dei treni in orario. Assegni familiari per i figli a carico, borse di studio per dare opportunità anche ai meno abbienti, bonifiche dei territori, edilizia sociale. Questo perché solo dieci anni prima Mussolini era in realtà un Socialista marxista e massimalista che si portò con sé il senso del sociale, del popolo“.

“Le dirò –prosegue la Hack– il fascismo modernizzò il paese. Resta una dittatura, ma anche espressione d’italianità. Bisognerebbe fare un’analisi meno ideologica su questo” (Marzo 2013 Barricate).

Andrea Camilleri: Io, sotto il fascismo, ero più libero di quanto voi lo siete adesso - Festival di Roma 2010

Carlo Lizzani: nel fascismo la cultura non subiva tagli, anzi era valorizzata al massimo dal regime anche con risultati a volte davvero straordinari. Basti pensare alla Mostra del Cinema di Venezia e anche all’attuale Centro Sperimentale di Cinematografia. L’equazione fascismo uguale reazione è sbagliata perché fa pensare a un’impossibilità di recupero e invece i processi messi in moto dal fascismo erano anche di modernizzazione. Per noi ragazzi si aprirono le porte di pubblicazioni come Primato, con Bottai e altri gerarchi che offrivano la possibilità ai giovani di scrivere per le principali riviste. Il Centro sperimentale di cinematografia, un’invenzione fascista, proiettava i film sovietici. Ci sentivamo promossi come nessun’altra generazione prima di noi. Le parole d’ordine erano “largo ai giovani” e “la borghesia la seppelliremo”, mentre i nostri padri venivano da società gerontocratiche, bloccate. I Littoriali erano grandi gare giovanili che davano ai diciottenni l’opportunità di viaggiare, uscire di casa, sentirsi autonomi rispetto alla famiglia e ai canoni borghesi.

Enzo Biagi: Mussolini è stato un gigante; considero la sua carriera politica un capolavoro. Se non si fosse avventurato nella guerra al fianco di Hitler, sarebbe morto osannato nel suo letto. Il popolo italiano era soddisfatto di essere governato da lui: un consenso sincero.

Gaetano Salvemini, anti fascista, scrisse: <L’Italia è diventata la Mecca degli studiosi della scienza politica, di economisti, di sociologi, i quali vi si affollano per vedere con i loro occhi com’è organizzato e come funziona lo Stato corporativo fascista >.

Lo storico ebreo comunista Renzo De Felice è stato molto chiaro, lo si capisce senza possibilità di confusione nella citazione che segue: tutto quanto detto e scritto sul fascismo e resistenza è falso perché la sinistra politica ha nascosto tante verità, tanti delitti, tante vergogne partigiane. 

Anche da oltre Oceano giunsero segni di apprezzamento per l’opera messa in atto dall’Italia del Ventennio.

John Patrick Diggins, autore del libro “L’America, Mussolini e il Fascismo“, a pag. 45, ha scritto: “Negli anni Trenta lo Stato corporativo sembrò una fucina di fumanti industrie. Mentre l’America annaspava, il progresso dell’Italia nella navigazione, nell’aviazione, nelle costruzioni idroelettriche e nei lavori pubblici, offriva un allettante esempio di azione diretta di pianificazione nazionale. In confronto all’inettitudine con cui il Presidente Hoover affronto la crisi economica, il dittatore italiano appariva un modello di attività (…)”.

Il comunista Renzo De Felice: “La liberale e antifascista ‘Nation’ arrivava ad auspicare un Mussolini anche per gli Stati Uniti”.

L’inglese Michael Shanks, economista di vasta esperienza internazionale, già direttore della Commissione Europea degli Affari Sociali, nonché Presidente del Consiglio dei Consumi, indica nel suo libro “What’s wrong with the modern world?” lo Stato Corporativo di Mussolini come l’unico metodo per uscire dalli crisi.

Il Regime fascista nel suo “programma politico e sociale per l’ammodernamento e l’industrializzazione del Paese”, come osservato anche dal politologo e storico statunitense James Gregor, non poteva eludere una globale politica previdenziale. La competenza dell’INPS andava dall’invalidità e vecchiaia alla disoccupazione, dalla maternità alle malattie.

Disse Claude Ferrere, a proposito dell’uccisione di Benito Mussolini e dell’animalesco ludibrio di Piazzale Loreto, che «Alcuni italiani si sono vendicati di un Capo troppo grande per loro, le cui stesse benemerenze apparivano troppo gravose. E tutti i governanti d’Europa, anche se non osarono approvare apertamente, gioirono in segreto. Dinanzi a quell’uomo erano afflitti da un complesso di inferiorità insopportabile, come era accaduto tempo prima con Napoleone. Duemila anni prima per le stesse ragioni era stato ucciso Giulio Cesare».

Franklin Delano Roosevelt: Mussolini deve passare alla storia come il costruttore di una migliore forma di convivenza fra i popoli.

Winston Churchill: Così finirono i ventuno anni della dittatura di Mussolini in Italia durante i quali egli aveva salvato il popolo Italiano dal Bolscevismo per portarlo in una posizione in Europa quale l’Italia non aveva mai avuto prima… Le grandi strade che egli tracciò rimarranno un monumento al suo prestigio personale e al suo lungo governo.

In Italia ed in occidente in generale, il metro di misura per stabilire e attribuire a studiosi il titolo di storico è determinato da quanto siano antifascisti e antitradizionali, animati da uno spirito d’odio verso la cultura e tradizione ellenico romano; non sfugge a tale auto ideologico referenziale meccanismo Francesco Filippi da Levico.

Italiani brava gente non era semplicemente un modo dire, ma un dato di fatto, con buona pace dei capziosi detrattori del popolo italico. Cosa assai strana per i sinistri e il politically correct, ammettere (qualora vi fosse in loro la volontà d’informarsi) che gli italiani si dimostrarono ancor più umanamente bravi e buoni durante il governo monarchico fascista. l’assioma fascismo / bontà è il frutto di una visione del mondo tradizionale, quel mondo che riprendeva i principi nobili etici e morali della civiltà ellenica romana, plasmata da due mila anni di cristianesimo.

Ad onore del vero, se ci furono degli italiani che si distinsero per cattiveria furono sinistrati risorgimentali, Fiorenzo Bava Beccaris, Nino Bixio, Francesco Crispi, che non esitarono a far sparare e sparare contro persone inermi ed innocenti;   socialisti prima e comunisti dopo biennio rosso. In merito alla brutalità disumana bolscevica nostrana riporto alcune testimonianze. Ammette il politologo Domenico Settembrini: <Il ricorso alla violenza all’interno alla sinistra nelle campagne italiane risale agli anni della prima guerra, quando tra i repubblicani, che avevano la loro base in mezzo ai mezzadri, e i socialisti, che reclutavano forze soprattutto tra i braccianti, non erano infrequenti in certe zone le risse, gli assassini a tradimento e talvolta rudimentali spedizioni punitive a scopo di vendetta>. Zumino Pier Giorgio, La questione cattolica nella sinistra italiana, pagg. 31-33: <Non va però dimenticato che la CGL, usava fare pressione sugli industriali perché licenziassero gli operai cattolici che rifiutavano di iscriversi a quel sindacato, richiesta a cui gli industriali ottemperavano, perché come osservò un funzionario in una comunicazione a Giolitti, quelli cattolici rappresentano di fronte agli operai appartenenti alle leghe rosse una proporzione come di uno a cento>. Sistematiche le violenze perpetrate a danno di militari che avevano già tanto sofferto nelle trincee, violenze che si verificarono principalmente nelle grandi città. Sarebbe bene ricordare anche quel che si verificò tra il 10 e il 15 aprile 1919 a Roma e a Milano, quando socialisti e anarchici scesero in piazza con l’intento di dimostrare che le forze bolsceviche dominavano ormai la piazza. Anche se in quei giorni di aprile il fascismo come forza organizzata non esisteva ancora, tuttavia la manifestazione rossa fece esplodere il fenomeno fascista.  A luglio del 1919 i socialisti scatenarono una serie di violenze che provocarono ventisei morti, oltre trecento feriti e il saccheggio di 1200 negozi. Sempre in quell’anno vennero costituiti i Soviet. In Val Bisenzio addirittura venne proclamata una Repubblica sovietica. A giustificazione del saccheggio dei negozi, sull’Avanti! del 5 luglio si poteva leggere: <Le merci sono del popolo, prodotte dal sudore del popolo e ad esso ritornano per il potere di una forza contro la quale nessuno può reagire (…)>. Il movimento insurrezionale, appunto sulla falsariga di quella di Mosca, si sviluppò a Forlì dove venne emesso il primo decreto del Soviet, Milano, Genova, Torino hanno fatto seguito. Il Corriere della Sera del 7 luglio riporta: <Violente scene di saccheggio si sono verificate oggi a Torino (…). Particolarmente prese di mira, oltre parecchie salumerie e negozi di uova e pollame, furono le rivendite di calzature, specie le più eleganti del centro (…)>. A questi atti, che ormai erano di prassi quotidiana, il 20 e 21 luglio fu organizzato uno sciopero generale in segno di solidarietà verso i compagni rivoluzionari russi e ungheresi che si concluse con disordini e pestaggi.

Antonio Falcone nella rivista Storia e Verità: <In un certo senso si può dire che i fascisti la violenza non tanto la imposero quanto la subirono. Lo dimostra il numero dei loro caduti, che fu di gran lunga superiore a quello degli avversari>. Lo scrittore antifascista Gaetano Salvemini nel suo volume Scritti sul Fascismo, a pag. 38 annota: <Tanta violenza poteva aver luogo per l’incapacità delle forze dell’ordine e della magistratura e dallo strapotere tracotante e capriccioso dei sindacati rossi>. Scrive Giorgio Bocca (Mussolini socialfascista) che il fascismo fu violento e sopraffattore, ma lo fu perché trovò davanti a sé una sinistra antidemocratica, violenta, autoritaria e sopraffattrice. Ancora più interessante quanto ha scritto Percival Phillips, corrispondente del Daily Mail che visse in quegli anni in Italia: <Essi (i fascisti) combatterono il terrore rosso con le stesse armi. Compivano rappresaglie che turberebbero quei pacifisti che volevano la pace a tutti i costi. Ai sistemi di Mosca risposero con i sistemi fascisti. Di certo non imitarono i sistemi comunisti, di gettare vivi gli uomini negli alti-forni, come fu deciso a Torino da un tribunale rosso composto in parte da donne, né torturarono i prigionieri come fecero in altre parti d’Italia i seguaci di Lenin>.

 Il comunismo è nato perverso ed è maturato carnefice -taluni casi cannibale-, ad esempio i partigiani rossi furono il peggio tra gli italiani. I partigiani rossi, si macchiarono di stragi inenarrabili – e non fu guerra civile come si racconta-, gruppi di sanguinari assassini, cattivi italiani! Sono diversi gli autori che ben documentano le azioni bestiali dei partigiani rossi:  il compagno Gianpaolo Pansa, Arrigo Petacco  (Ammazzate quel fascista), Gianfranco Stella (“Killer della liberazione” e “Compagno Mitra”). E che dire di coloro che eseguono la pena capitale a scapito di incolpevoli cuccioli di uomo, forti dell’infame legge 22 maggio 1978, n. 194?

In questi casi, periodo storico, per periodo,    sono certo che abbiamo avuto a che fare e abbiamo a che fare con Italiani cattivi, con quali si può mutuare l’ironico sfottò liberal bolscevico “italiani brava gente”.

 In merito alla questione sollevata, ovvero il colonialismo italiano, mi limito a riportare il seguente fatto: <<Era l’11 settembre 1978 quando l’allora Presidente della Repubblica Sandro Pertini, accoglieva al Quirinale il Presidente della Somalia Mohamed Siad Barre. Erano le 12.15 quando l’ospite giunse al Palazzo del Quirinale. Un anno prima della scadenza terminò il nostro incarico fiduciario e l’autogoverno si sviluppò al principio abbastanza bene, sia pure con un modello sui generis di democrazia (peraltro non solo somala). Verso l’Italia mantennero a lungo un atteggiamento molto deferente. Ricordo un singolare episodio durante la visita di Siad Barre a Roma. Nel brindisi, alla colazione nel torrino del Quirinale, Pertini ebbe la strana idea di chiedere scusa ai somali per quanto fatto dagli italiani. L’ospite rispose che verso l’Italia non avevano che gratitudine; e che — Pertini si rannuvolò bruscamente — nel 1935 erano stati gli etiopici e non i fascisti a provocare la guerra>> - ( http://www.30giorni.it/articoli_id_2668_l1.htm).

Senza ripetermi, su un argomento già trattato, si possono consultare i links sottostanti.

https://emiliogiuliana.com/2-uncategorised/77-ignoranti-globalizzatori-criminalizzano-il-colonialismo-italiano.html

http://www.ecletticaedizioni.com/newsite/prodotto/bugie-coloniali-leggende-fantasie-e-fake-news-sul-colonialismo-italiano/

concludo mutuando un aforisma di Socrate, che sento mio: <io non posso insegnare niente a nessuno, io posso solo farli pensare>.