Jacques de Saint Victor, storico del diritto e delle idee politiche, professore ordinario all'Université Paris-VIII, nel suo lavoro letterario Patti scellerati, conferma, ciò che altri uomini illuminati del passato e del presente osservano e asseriscono, ovvero che il sistema democratico, non solo è il peggior sistema sociale, ma si distingue da altri sistemi per essere geneticamente sistema ideato da balordi (rivoluzione francese) per dare il potere e il governo dei paesi a molti delinquenti!
Non ancora maggiorenne, la procura di Trento dispose la perquisizione dell'appartamento dove abitavo (negli anni ne seguiranno altre), per violazione della legge Scelba, ovvero, tentata ricostituzione del disciolto partito Fascista! Quel Mario Scelba, attore in negativo dell’appena neonata Repubblica italiana…Leggere il seguito dello scritto per credere! incoraggiando gli interessati ad approfondire la questione.
<<l’unico dovere che abbiamo verso la storia è di riscriverla>>. Oscar Wilde
<<i lettori non amano mai sapere la verità, quando hanno già letto molte bugie>>. Leo Longanesi
<<nessuno mente tanto come colui che si indigna>>. Friedrich Nietzche
<<la storia è un insieme di menzogne su cui ci si è messi d’accordo>>. Napoleone
<<sei solo, Ulisse, perché sai ciò che loro non sanno>>. Omero
Negli anni ottanta dell'Ottocento, con la democratizzazione della vita politica italiana, nel mondo del crimine si delineò una svolta. Una serie di leggi votate dalla sinistra, nel 1882 e nel 1888, abbassò il censo ultra elitario della destra storica, permettendo a oltre due milioni di cittadini di votare. Questa nuova legislazione contribuì ad ampliare anche la base di reclutamento del personale politico: il sistema si aprì a quelli che Gambetta, in Francia, chiamava gli «strati nuovi», provenienti dalla piccola borghesia rurale e urbana. Quei neofiti si lanciarono all’assalto dei consigli comunali e provinciali e divennero personalità politiche locali influenti. Quel vasto movimento portò però alla ribalta anche personaggi insoliti, molti dei quali appartenevano a quei «facinorosi della classe media» di cui parlava Franchetti (insieme a Sonnino, personalmente si occuparono di studiare il fenomeno mafioso post unitario): uomini violenti che fino a quel momento erano stati tenuti più o meno a distanza dalla scena politica, grazie al sistema estremamente elitario della monarchia italiana. I nuovi arrivati, vicini dia mafia, finirono per alimentare l’ampia rete clientelare che era stata costituita dalla sinistra trasformista. In alcune regioni, il potere poggiava ormai su un doppio gioco che vedeva gli ambienti d’affari al vertice e gli ambienti mafiosi alla base; così, paradossalmente, un’evoluzione auspicabile e opportuna sul piano Politico - conclusasi nel 1912 con l’introduzione del suffragio universale - ebbe conseguenze assai meno confessabili nell’ambito del crimine. Grazie all’allargamento progressivo del panorama politico, uomini appartenenti alla mafia riuscirono a introdursi nei consigli comunali o provinciali e in certi casi a dirigerli, emancipandosi dalla tutela dei baroni e dei loro intendenti per cogestire la vita locale su un piano di parità. I nuovi venuti non aspiravano a cambiare le antiche strutture dominanti, ma ad accelerare, approfittando dell’apertura democratica, il proprio inserimento nella vita politica del Mezzogiorno, senza modificare profondamente la distribuzione sociale; Nel vecchio sistema elitario, la mafia si limitava a sostenere il potere dei grandi possidenti, con la democratizzazione politica, essa assunse un ruolo da protagonista. (pagg. 95-96) …..
..Gli osservatori dell'epoca sono unanimi nell’ affermare che la mafia, attraverso questo tramite, era passata dal ruolo di fautore dell’ordine a quello di protagonista del governo locale. Alcuni personaggi equivoci riuscirono addirittura ad arrivare in Parlamento. Secondo lo scrittore Napoleone Colajanni, fu in questo periodo che nacquero i grandi affari di corruzione, giacché il nuovo personale politico non si faceva scrupolo di servirsi di «mezzi mafiosi».
Questa fu, probabilmente, una delle varie ragioni della nascita, in quell’epoca, della scuola elitista italiana, assai critica nei confronti della democratizzazione del sistema politico. Uno dei suoi principali rappresentanti, accanto a Vilfredo Pareto e Roberto Michels, fu il grande giurista Gaetano Mosca, professore universitario di diritto pubblico. Mosca si era interessato quasi per caso alla questione del crimine organizzato, e vedeva un legame tra la democrazia e l’espansione della mafia. In una conferenza dal titolo Che cos’è la mafia?, aveva insistito sulla potenza della mafia dei colletti bianchi, la quale, secondo lui. sarebbe arrivata alle stanze del potere nel Mezzogiorno grazie alla democratizzazione(pag. 100) del diritto di voto e al sistema clientelare messo in piedi dalla sinistra trasformista per mantenersi in sella. Sempre second Mosca, le forze democratiche di sinistra si sarebbero comportate nei confronti degli elettori come i Patroni dell’antica Roma facevano con i loro clientes, cercando di comprarne i voti in cambio di servizi o impieghi e mantenendoli in un rapporto di dipendenza e di protezione; la democratizzazione del sistema politico non aveva fatto altro che ristabilire, se non rafforzare, quell’amica logica. Certo, non si possono non notare i sottintesi di questo discorso di denuncia di tale nuova forma di clientelismo politico; Mosca era ben contento di poter trovare un buon esempio di presunta degenerazione della democratizzazione del sistema politico. Bisogna per questo ritenere che deformasse la realtà? Un simile clientelismo esisteva (si parlerà di “clientelismo dei notabili”) e svolgerà, come vedremo, un ruolo fondamentale nello sviluppo della mafia. Ben presto, l’organizzazione criminale sarebbe stata in grado di volare con le proprie ali, pur restando un fedele sostegno dei grandi notabili. A riprova della sua nuova potenza, alla fine del secolo la mafia ispirò diverse audaci interpretazioni da parte della scienza del diritto italiana, a cominciare dalle riflessioni di Santi Romano sul “pluralismo giuridico”, di cui oggi, con la globalizzazione, si fa un gran parlare. Del resto, le osservazioni del giurista siciliano sull’esistenza, nello stesso territorio, di un ordine mafioso concorrente di quello giuridico ufficiale costituivano uno dei fondamenti della sua teoria. (pag.101)…..
Nello stesso periodo, alcuni clamorosi scandali confermarono la nuova potenza dell’alta mafia, portandola per la prima volta alla luce della ribalta e mettendo in evidenza la sua forza crescente, a livello non soltanto locale, ma anche nazionale. Esisteva una sorta di sinergia tra le forze oscure, che risaliva fino Roma. Prima ancora delle leggi del 1882, Franchetti notava già che ,il governo «era il primo a lasciarsi corrompere dalle influenze locali, non per denari, ma per i voti, per articoli di giornali, per dimostrazione della cosiddetta opinione pubblica. (pag.102).0
Nel giorno della festa del lavoro -1° maggio 1974, centinaia di contadini dei dintorni di Palermo si erano riuniti a Portella della Ginestra, dove i manifestanti furono presi di mira dal fuoco incrociato di fucili da caccia, mitra e bombe a mano. Fu una strage: undici morti tra quali quattro bambini, e più di una ventina di feriti. All’epoca le autorità attribuirono immediatamente il massacro ai banditi di Salvatore Giuliano. Ricercato dalla polizia sin dalla fine della guerra, nelle montagne di Montelepre e dintorni Giuliano gode va però di appoggi influenti, che gli avevano sempre permesso di non farsi prendere. La gente lo aveva soprannominato il “Re di Montelepre”: era una specie di Robin Hood locale, oggetto di ammirazione. Attribuendogli la responsabilità del massacro, la polizia contribuì ad appannare la sua popolarità, preparandone così la caduta. I carabinieri di Monreale lo trovarono morto tre anni dopo, nella notte del 4 luglio 1950, in seguito, si disse, a una soffiata; in realtà, oggi sembra che la sua morte sia stata un vero e proprio delitto di Stato. Giuliano lo aveva preannunciato qualche mese prima in una lettera aperta al deputato Li Causi, nella quale affermava che il ministro dell’interno, Mario Scelba, voleva la sua morte «perché io lo tengo nell’incubo per largii gravare grandi responsabilità che possono distruggere tutta la sua carriera politica e financo la vita» (“l’Unità”, 30 aprile 1950). Il solo che sapesse qualcosa sulle strane circostanze della morte di Giuliano, Gaspare Pisciotta, accusato del suo assassinio, nel corso del processo rilasciò questa strana dichiarazione: «Bandi ti, polizia e mafia sono un corpo solo come il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo...». Quelle parole furono considerate il delirio di una mente malata; tuttavia, il 9 febbraio 1954, allorché Pisciotta, incarcerato all’Ucciardone, dichiarò di avere nuove rivelazioni da fare, morì in cella in preda a convulsioni atroci.
https://www.19luglio1992.com/il-pentito-di-mafia-mattarella-padre-era-uomo-donore/
https://ilformat.info/2017/09/06/quel-filo-sottile-lega-mattarella-alla-mafia/
https://it.wikipedia.org/wiki/Gaspare_Pisciotta
<<i popoli vinti vengono esiliati dietro gli specchi, dove sono condannati a riflettere l’immagine dei vincitori. (ma un giorno si mettono a somigliare sempre meno ai loro vincitori e, alla fine, infrangono gli specchi e ripartono all’assalto dell’Impero)>>. Jorge Luis Borges